"E' tornato un divertimento, come agli inizi, quando giocavo nella stradina davanti a casa": è Marco Fortin il giocatore più anziano in attività. Duecentoventi presenze tra serie A e serie B, vent'anni di professionismo, ma il portiere veneto non ha nessuna intenzione di smettere. "Sono un bambino di 43 anni" spiega Marco con un sorriso. In realtà, nonostante la carta d'identità dica 8 luglio 1974, il tempo sembra essersi fermato: "Magari!" - riprende Fortin - "Ma in campo è un'altra cosa: mi diverto, allo stesso modo di quando ho iniziato. Il calcio è tornato a essere una passione più che un mestiere, un'attività che mi fa star bene. Ma Impegno, responsabilità e professionalità sono le stesse. Anche da un punto di vista 'logistico' mi sembra di essere tornato indietro nel tempo, perché gioco a Noale, il mio paese, nello stesso campetto in cui ho iniziato. E' il quinto anno nel Calvi Noale, diciamo che provo a restituirgli in parte ciò che mi ha dato. Due anni di Eccellenza, poi tre di serie D: ci stiamo levando le nostre soddisfazioni".
In realtà doveva essere il primo anno da "pensionato" del pallone: "(Ride). Vero, ma presidente e allenatore mi hanno mi hanno chiesto se me la sentivo di fare un'altra stagione. Mi sono guardato allo specchio, fisico e testa reggono ancora. Allora mi sono detto: 'Perché no?'. Quest'anno abbiamo le possibilità di fare un campionato tranquillo. Ho un rapporto confidenziale e sereno con tutti i ragazzi, giovani e meno giovani. All'interno dello spogliatoio le gerarchie hanno un peso, ma poi, tra persone intelligenti, si azzerano. Io da ragazzo entravo in spogliatoi dove c'era una sorta di rispetto reverenziale e i "primavera" erano poco considerati, quasi dei numeri: questa situazione l'ho sempre odiata. Mi sono sempre detto che se a 30-35 anni fossi stato così non avrei apprezzato me stesso. Carisma, personalità, rispetto sono cose che ottieni dando l'esempio e con la professionalità, non con l'anzianità e con le chiacchiere. Probabilmente i ragazzi, vedendo il mio impegno, la mia puntualità, la mia capacità di tirare su il gruppo, cercano il mio aiuto. Provo soprattutto a fa
Tante parate importanti in carriera, ma i più lo ricordano per un simpatico aneddoto: "Quando sentono il mio nome dicono "Ah, Fourteen" ricordando il gioco di parole tra Fortin e fourteen, che in inglese è proprio il 14. La curiosità sul binomio numero-cognome, come sia nato, ancora oggi mi permette di essere ricordato con un sorriso. Uno dei miei più cari amici mi chiamava quattordici e da quel momento tutti hanno iniziato a chiamarmi così. Quando è iniziata la possibilità di scegliere la maglia non ci ho pensato due volte". Eppure qualche "giocata" importante Marco l'ha fatta in carriera: "Kakà, Totti, Signori, sono alcuni dei grandi a cui ho parato un rigore. A volte c'è stata anche qualche 'papera', capitano anche ai super come Neuer e Buffon: fanno parte di una carriera. L'attaccante più forte? Inzaghi, Vieri, Totti, Del Piero, Shevchenko, Ibrahimovic
Club speciale? "La mia piazza è Siena. In Toscana c'è stata la mia consacrazione a livello calcistico. Siamo stati promossi in serie A e io ho vinto il premio come miglior portiere della B e poi mi sono levato belle soddisfazioni in massima serie. Abbiamo ottenuto brillanti salvezze, che per il Siena è tantissimo. Poi la piazza mi ha amato e io mi ha fatto sentire speciale: spero di aver contraccambiato almeno un po'. A Cagliari ho fatto due anni molto belli, ho avuto la fortuna di essere allenato da un grande come Marco Giampaolo, uno degli allenatori più bravi per distacco: solo ora sta ottenendo ciò che gli spetta. Meriterebbe palcoscenici molto più importanti. L'unica nota dolente è stata Cellino, un presidente con il quale è difficile andare d'accordo. A Vicenza un altro momento speciale della mia carriera. E' una piazza con un tifo unico, in serie C seimila abbonati! Città bella e i tifosi fantastici, ma la società non ha espresso sempre quello che avrebbe dovuto".
E l'Inter? Marco sospira... poi risponde: "Non voglio essere retorico, ma fu un sogno ad occhi aperti. Fui catapultato di colpo in uno dei club più importanti del mondo, non me l'aspettavo: pensavo di fare la Berretti. Invece il primo anno che arrivai feci diverse presenze in panchina e tanti allenamenti in prima squadra. Ho realizzato solo con il tempo l'opportunità che mi capitò. Sfortunatamente non feci mai l'esordio, però mi allenai con Zenga e Pagliuca, allora i migliori, e con l'umiltà giusta: questo mi ha permesso poi di sviluppare una carriera". Futuro? "Famiglia e marketing! Ho avuto un papà presente nel mio percorso, mai possessivo, ma sempre prodigo di consigli: mi comporterò allo stesso modo con mio figlio Mattia che gioca nelle giovanili del Padova. Ha 14 anni, per ora è un divertimento, vedremo cosà farà. Da 'grande' (ride ancora) non rimarrò nel mondo del calcio, non farò l'allenatore. Ho già intrapreso da qualche anno una carriera nel network marketing e ho già creato una rete piuttosto importante. Il mio futuro sarà in questo settore".