Vedi Napoli e… torni a casa. Per la prima volta dopo due anni, anche se la carta d’identità dice: luogo di nascita “Calì”, Colombia. Suona strano? Non per Zapata: “Napoli mi ha accolto come un figlio, è la prima città in Europa in cui sono stato. Mio figlio Dayton è nato lì”. Giramondo Duvàn: prima la Colombia, poi l’Argentina e infine l’Italia. Solo per un unico obiettivo “sogno di giocare in Europa”, diceva. Ci è riuscito, ha faticato ma alla fine ha vinto. Sacrifici, tanti, fin da piccolo: “Studiavo fino a tardi, per questo non potevo allenarmi quando volevo. Così ho dovuto aspettare diverso tempo per andare a provare con l’América de Cali”. Alla fine quel provino l’ha fatto e il giudizio è stato unanime: “Sei dentro”. Non poteva essere altrimenti: Duvàn a 16 era già un colosso di un metro e 86 centimetri. Tecnica grezza, forse un po’ goffo, precisione nei passaggi corti così e così. Ma progressione devastante e forza fisica da far pura. In poche parole: gol come se piovesse. Un numero 9 vecchia scuola, senza troppi fronzoli.
Faceva paura, ma solo nell’aspetto. Perché in fondo Duvàn è sempre stato un buono, anche un po’ troppo sensibile: “Dopo una partita persa si è messo a piangere”, ricordano dalla Colombia. Grande, grosso e “timidone”, è sempre stato così. Sensibile sì, ma allo stesso tempo disciplinato, serio e… forte, soprattutto. Non solo nel fisico, perché non si buttava giù nemmeno nei momenti più difficili, come nella scomparsa prematura della madre. Figurarsi se cadeva con una spallata. Ha continuato a fare a sportellate con la vita e con i difensori per scrivere il suo futuro. Testa bassa e obiettivo puntato, proprio come un toro, anche se in Colombia lo chiamavano “El Ternero”, il vitello “perché ogni volta che commetteva un errore emetteva un “meee” che era simile al verso del bovino”, ricorda “Willy” Rodriguez, suo allenatore all’epoca dell’América de Cali. L’avventura in Colombia tra i professionisti però dura solo tre stagioni, perché l’Argentina lo aspetta. Dopo un anno di rodaggio all’Estudiantes Zapata esplode, segna a raffica e in tutti i modi. Merito anche dei compagni di squadra, uno su tutti: Juan Sebastian Veron “In Argentina lui è il mio esempio, è un giocatore da emulare”. Se ne intende di talento Duvàn, anche quando deve scegliere i suoi attaccanti tipo: “Non ho dubbi, Drogba e Ibrahimovic”. Punta in alto, non si tira indietro, nemmeno quando arriva la chiamata del Napoli.
In azzurro Zapata gioca a sprazzi, perché davanti a lui c’è un fenomeno di nome Higuain: “Da lui ho imparato molto, in allenamento mi dava tanti consigli”. Peccato però che il colombiano ha avuto poche occasioni per metterli in pratica. Quando ha potuto però ha lasciato il segno, come nella partita di Champions League con il Marsiglia: sassata a giro dal limite dell’area e palla incastonata sotto l’incrocio dei pali. Sprazzi di pura potenza, forse troppa per relegarla in panchina. E poi Duvàn non è tipo che si accontenta, vuole sempre il massimo. La scelta quindi è scontata: l’Udinese chiama, Zapata risponde, solo in prestito però (due anni), perché il Napoli non vuole privarsene definitivamente. Scelta saggia: a Udine, tra un infortunio ed un altro, Zapata segna con regolarità. Anche quest’anno dopo un avvio stentato ha trovato continuità e fiducia, diventando forse il miglior Zapata di sempre. Scherzo del destino: proprio adesso dovrà affrontare il suo Napoli, pronto a riabbracciarlo in estate per decidere del suo futuro. Per la prima volta al San Paolo da avversario, dopo il forfait dello scorso anno. Forse si guarderà bene intorno Duvàn, per rievocare vecchi ricordi, e per riassaporare l’atmosfera di uno stadio che dal prossimo anno potrebbe essere nuovamente la sua casa.