"Mi manca tutto... tutto. Il lavoro settimanale, preparare le partite, organizzare gli allenamenti, l'adrenalina, l'ansia, lo stress...". Sette anni e tre mesi ininterrottamente alla guida di una squadra, programmati per vincere, per scalare le classifiche. Dai campi spelacchiati e caldissimi della Lega Pro Seconda Divisione alla serie A, Massimo Rastelli non si era mai fermato. Soffre in silenzio l'allenatore di Torre del Greco, che tuttavia ha preso nel verso giusto questo periodo di sosta forzata. "Sono in Taverna, ho appena finito di guardare le partite, speriamo che il cellulare prenda" attacca subito l'ex condottiero del Cagliari: primo posto storico in serie B nella stagione 2015-2016 e un campionato di centro classifica nel 2016-2017. Vittima anche lui del freddo degli ultimi giorni, l'allenatore campano, gentilissimo come sempre, rilascia volentieri l'intervista ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com.
Giusto il tempo di sedersi e si parte... Cosa le manca di più della vita da allenatore? "Tutto... tutto. Il lavoro settimanale, preparare le partite, organizzare gli allenamenti... la routine del nostro lavoro. L'adrenalina, l'ansia, lo stress... non c'è niente che non mi manchi. Cerco di compensare guardando tanti match. Seguo la serie A, ovviamente, ma anche la Liga e la Premier, due campionati che mi piacciono molto. In modo meno assiduo seguo anche la Bundesliga. Da queste top leghe si può sempre imparare qualcosa di nuovo". Cosa le manca, invece, di Cagliari? "Stessa risposta: tutto. La qualità della vita, il clima, l'ospitalità della gente. Sono stati 28 mesi belli, vissuti con grande intensità. Me li sono goduti e ho solo ricordi positivi". Qual è stato il giocatore avversario che l'ha fatta più penare? "Nessuno è riuscito a togliermi il sonno per fortuna! Penso che i campioni li puoi limitare soltanto con la tattica, con l'organizzazione di squadra. I grandi giocatori vanno sempre a cercasi la posizione migliore in campo, è lì che fanno la differenza: bisogna cercare di anticipare le loro scelte". Chi vincerà lo scudetto? "E' una corsa a quattro, al di là degli ultimi risultati. Sicuramente Juventus e Napoli hanno qualcosa in più in organico e nel gioco, ma non reputo assolutamente tagliate fuori Inter e Roma. Dovranno, però, inseguire e in serie A non è facile".
Rastelli ha regalato al calcio italiano un campioncino come Barella, consacrandolo definitivamente: ci sono altri giovani dal futuro assicurato? "Fortunatamente per il calcio italiano sono tanti. Tolto Barella, dato che sono di parte, mi piace molto Federico Chiesa, che già l'anno scorso ha dimostrato di essere un giocatore forte, capace di incidere sulle partite. Un altro è Mattia Caldara che nell'ultima stagione con l'Atalanta è cresciuto in maniera esponenziale. Ora ho citato loro perché per rendimento e costanza sono tra i migliori, ma sicuramente sono tanti quelli degni di nota". Magari un altro poteva arrivare da casa Rastelli: le manca l'erede maschio?"Sì, ma non ho nessun rammarico o rimpianto. Ci abbiamo provato e sono nate tre figlie fantastiche e quando posso me le godo. Non ho mai avuto l'ossessione di avere un maschietto, va bene così: sono beato tra le donne. Poi la più piccola, Alice, gioca a calcio, faceva parte delle giovanili del Cagliari. Quindi, forse, nel suo Dna c'è l'amore per questo sport. Per ora si diverte, poi vedremo come va".
Passo indietro nel tempo... Rastelli è arrivato in alto per merito anche da calciatore. Velocità, tecnica, spirito di sacrificio le sue armi migliori: "Ricordo ancora perfettamente l'esordio in serie A: era il 31 agosto del 1997, c'era Piacenza-Milan. In campo c'erano Paolo Maldini, George Weah, Demetrio Albertini, Alessandro Costacurta... Fu una grandissima soddisfazione, a maggior ragione per chi come me partiva dal basso". L'aneddoto più bello? "Potremmo scriverci un libro. In generale ho imparato quanto il calcio possa essere bello e imprevedibile per cui ti cito questo episodio. Era la stagione 2003-2004 e agli ottavi di Coppa Italia pescammo la Juventus. La gara d'andata la perdemmo per 2 a 0, quindi a Torino dovevamo vincerla minimo 3 a 0. Al ritorno ci presentammo al Delle Alpi con la Primavera più io e altri 4 ragazzi della prima squadra. Si giocava alle 18, il volo charter era in programma per le 8 e 30. Il motore si ruppe e quindi ci dissero che la partenza era posticipata a mezzogiorno e mezza. Arrivammo giusto in tempo per la gara, con un panino nello stomaco mangiato di corsa in albergo. Ebbene, abbiamo vinto uno a zero e ci venne negato un rigore nettissimo che ci avrebbe permesso di andare almeno ai supplementari. Questo può sintetizzare la bellezza di questo sport. Era la Juventus di Lippi, Del Piero, Buffon, Thuram, Trezeguet, ma nel calcio la fame e le giuste motivazioni possono azzerare il divario tecnico".
Quale maglia manca alla sua collezione? "Ho avuto la fortuna e l'onore di giocare nella serie A dove c'erano tutti i migliori giocatori del mondo, italiani e stranieri. C'erano Zidane, Ronaldo, Batistuta, Thuram, Boksic, Veron, Crespo, Bierhoff, Vieri, Del Piero, Totti, Inzaghi, Nesta, Cannavaro, Maldini... se hai un paio di ore posso continuare (ride). Ho scambiato la maglia con quasi tutti loro e ho una discreta collezione. Tre nomi? Ho quella del 'fenomeno' Ronaldo, di Alex Del Piero, di Paolo Maldini: ti bastano? (ride di nuovo)". Torniamo all'attualità... Anzi, al futuro: le piacerebbe tornare ad allenare già a gennaio? "Vediamo, fino a giugno credo di stare fermo per essere pronto dall'inizio della prossima stagione. Non penso di prendere in considerazione altri tipi di situazioni. Se capitasse un'occasione irrinunciabile allora potrei ragionarci, ma non credo". Cosa si aspetta dal 2018? "Mi aspetto di trovare una proposta lavorativa stimolante, che mi faccia riiniziare il discoro interrotto. L'ambizione rimane la massima possibile, allenare per obbiettivi sempre più ambiziosi". Tre promozioni in sette anni fino al paradiso del calcio italiano, ma la scalata non è ancora finita...