È novembre ma alle sue spalle c’è un sole spettacolare. Giacomo Sanvitale ci parla dalla Florida, ormai davanti a una telecamera è più che a suo agio. 123mila iscritti solo su Youtube e oltre 30 milioni di visualizzazioni. Con The Journey, la serie dove racconta il suo viaggio calcistico nei college statunitensi, ha conquistato il web. In un modo o nell’altro, ha fatto del calcio la sua vita ma “non voglio essere seguito solo per le mie giocate”, ci racconta Giacomo. “Giocatori del mio livello ce ne sono infiniti. Però quanti ragazzi a 18 anni avrebbero lasciato tutto per andare negli Stati Uniti?”.
Da sogno a incubo: il provino con il Milan di Giacomo Sanvitale
Ma infatti come ci è arrivato un saronnese fino alla Florida? Tutto inizia da un cavallo. La mamma infatti è una grande appassionata di equitazione, ma non è proprio lo sport preferito di Giacomo: “Avevo anche ottenuto buoni risultati, ma quando tornavo a casa cercavo subito il pallone”. Una mamma sa sempre cosa è meglio per un figlio. Perciò lo lascia libero nel campo di calcio. Inizia nella squadra del suo paese e a 12 anni la prima svolta. “Ho fatto un camp estivo del Milan, quasi per gioco. Mia madre mi iscrisse a quello di Brallo di Pregola, un paesino della provincia pavese, era l’unico disponibile. Dovevamo fare 40 minuti di camminata in mezzo ai boschi per arrivare al campo”. Agli inizi di ottobre arriva la chiamata del Milan: ‘Ti vogliamo al Vismara per un provino’. “Andai con tanta carica perché era un sogno. Però in queste situazioni vuoi avere l’aiuto di qualcuno, specialmente di mia madre. Purtroppo quel giorno non c’era, ha sempre dovuto lavorare per mantenerci. Mi sono ritrovato da solo e l’ansia mi ha fatto giocare malissimo. Finito il provino un mister mi disse di andare a Mendrisio (Svizzera, ndr) perché conosceva l’ambiente ecc”. La prima delusione arriva lì. “Ricordo che pensai di smettere di giocare, chi me lo faceva fare di andare in Svizzera a 12 anni”.
Alla fine a Mendrisio ci è andato due anni dopo, poi la chiamata negli States. “Adesso è facile dire di sì: hai il drone per vedere dove giocherai, dove andrai a vivere ecc. Ai miei tempi non c’era niente”.
"Lascio tutto e vado negli States"
La carriera da content creator di Giacomo Sanvitale inizia proprio quando si trasferisce negli Stati Uniti: “Io mi sono ritrovato famoso. Non me ne è mai fregato nulla. I primi video su Youtube erano non in lista e li giravo solo ai miei amici e a mia madre”. Quelli invece fatti per i social li pubblica quando inizia a giocare a Saint Louis. “Sono estremamente legato a quella squadra perchè, oltre che giocare sul campo, scoprii anche il coraggio e la passione nel fare video”. Dal 2018 gioca per due anni lì in Missouri dove “fa minimo -4 gradi e pensi solo a giocare a calcio, è l’unico momento di relax”. Mentre nel 2020 si trasferisce a Los Angeles. “Giocavamo e avevamo l’oceano a fianco”. Uno scenario magnifico, rovinato dal Covid. “Tanti sono rimasti negli States ma io sono tornato in Italia per la mia famiglia. Ho lasciato il mio sogno e ha fatto male. Ho avuto anche problemi di depressione, pensavo fosse tutto finito”.
Il sogno riparte quando arriva una nuova proposta dagli Stati Uniti, in Oregon. “Avevo 3200 euro in banca, 3000 li ho spesi per la videocamera che volevo. Prenderla con un investimento importante voleva dire promettere a me stesso di essere grato e di ricordarmi ogni singolo istante da queI momento in poi”.
Il calcio che cambia la vita
E ora la Florida: “Ho avuto la percezione che qui il calcio non fosse la priorità per tanti visto che hai molte più cose da fare rispetto a posti come il Missouri per esempio”. Le squadre collegiali rimangono tra i più grandi punti di forza dello sport statunitense. “In generale puoi crescere molto qui. Il problema di diventare professionista negli States è che un italiano prende lo slot internazionale. Per stare bene mentalmente bisogna essere qui per l’esperienza, non con l’obiettivo di diventare pro altrimenti torni a casa piangendo”.
Poche settimane fa ha avuto anche l’opportunità di allenarsi con El Barrio, la squadra della Kings League. “Bel mondo, ma fa paura. Da quel video che ho fatto già 40 ragazzi sono a casa. Mettono da parte i lavori per la Kings League. Tanta fama, ma dopo 3 mesi potresti andartene”.
26 anni e un futuro ancora tutto da scrivere, senza dimenticare cosa gli ha già dato il calcio. “Ho sempre pensato che sarebbe stata la mia vita perché sarei diventato professionista. Ora il calcio lo è ma perché me l’ha cambiata. La mia ragazza è americana, i miei amici sono negli States, a volte l’italiano me lo dimentico. Mi sono ‘americanizzato’ in tutto" La videocamera si spegne, il sole novembrino non c’è più. Ma grazie a Giacomo c’è la consapevolezza di una nuova concezione di calcio: quello che cambia la vita, in tutti i sensi.