Una storia infinita. Di quelle così avvincenti che non basterebbe un intero libro per raccontarla al meglio. Germania-Italia, una contro l’altra, ancora una volta, sempre loro. Questa sera all’Allianz Arena è pronta ad essere scritta un’altra pagina di quel fantastico racconto che intreccia calcio e vita, sport e passione. Oggi Monaco, ieri Berlino. Già, Berlino. La città simbolo della ritrovata libertà, di un muro ormai scavalcato, calpestato e lasciato alle spalle da ognuno di noi. Nessuno escluso. Passo dopo passo, giorno dopo giorno, da quel 9 novembre 1989. Una data che ha cambiato il Mondo. Qualche mese dopo una Germania ancora divisa faceva piangere Maradona, l’Argentina e anche un pizzico d’Italia trionfando nei Mondiali del ’90. E’ cambiato tanto da allora, quasi tutto. La televisione, i modi di comunicare, la tecnologia, la medicina, la scienza, il calcio. Già, il calcio. Il trio degli olandesi, il sogno americano di Sacchi, la Francia Campione del Mondo, il Barcellona campione di tutto. Il Brasile spettacolo, samba e allegria, la Spagna del tiki taka di Xavi e Iniesta.
E’ cambiato molto, compresa l’Italia del pallone. Che però non ha perso la buona abitudine di sorridere davanti al popolo tedesco, coppa dopo coppa alzata al cielo. Berlino come Monaco, 504 km di distanza e un filo conduttore che parla italiano, scritto sapientemente dalla storia. Che si tratti di confronti tra Nazionali o squadre di club, poco o niente cambia, il finale è (quasi) sempre lo stesso. Le braccia verso l’alto di Cannavaro nella notte più bella della storia recente della Nazionale italiana, ulteriore delusione per il popolo tedesco dopo la ‘ferita’ subita a Dortmund qualche giorno prima in una semifinale divenuta leggenda. Storia, incancellabile. Esattamente come sei anni dopo, Europeo 2012 a Varsavia, quando Balotelli si trasformò in SuperMario spazzando via in trentasei minuti la sete di rivincita tedesca. E, riavvolgendo il nastro, il colore del trionfo è sempre l’azzurro: da Messico ’70 alla finale Mondiale di Madrid, anno 1982. Inutile aggiungere altro.
Europei, Mondiali, Coppa dei Campioni o Champions League che dir si voglia: altro giro, copione di cui in molti conoscono in anticipo trama e finale. “Ronaldo era il migliore, ma Inzaghi è riuscito ad irritarmi di più. Non era certo un supercampione, però mi ha sempre segnato. Sempre! Che nervi”, parole e musica ad opera di Oliver Kahn, storico portiere del Bayern Monaco che prima di ogni confronto con il Milan affermava spavaldo, quasi a voler esorcizzare la maledizione, che l’attaccante rossonero non gli avrebbe mai più fatto gol. Ma l’incubo a tinte tricolori probabilmente gli tormenterà ancora oggi qualche notte. Le stesse, insonni, che avrà trascorso Hans-Jörg Butt dopo la doppietta di Diego Milito nella finale di Champions 2010 che regalò all’Inter un successo europeo che mancava da 45 anni. Ancora a Madrid, ancora un’italiana. Nuovo trionfo, vecchio copione.
E la Juventus? Già la Juventus, perché oggi la protagonista principale è lei. Amburgo, Borussia, lo stesso Bayern Monaco… vero, innegabile. Ma non basta, non può bastare per pareggiare i conti. Senza voler scomodare Roberto Baggio e una Coppa Uefa troppo lontana, i primi segnali di inversione di tendenza risalgono allo scorso anno, ancora Champions League: 2-1 all’andata, 3-0 al ritorno e pubblico di Dortmund costretto ad ingoiare amaro. Ancora. 1989-2016, un continuo flashback temporale che si aggroviglia tra ricordi, emozioni e brividi. Gli stessi che corrono veloci sulla pelle riguardando l’immagine sfocata di Stefano Borgonovo scalfire la prima pietra di un muro che all’epoca sembrava ancora indistruttibile. Era il 18 aprile 1990, tempi supplementari della semifinale di ritorno di Coppa dei Campioni tra Bayern Monaco e Milan, e il pallonetto dell’attaccante rossonero aprì la strada verso la finale (poi vinta) alla formazione allenata da Sacchi. Oggi, 26 anni dopo, toccherà al talento di Paul Pogba provare ad abbattere il muro rosso alzato dal Bayern di Guardiola. L’ultimo rimasto in piedi in tutta la Germania.