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Data: 27/11/2016 -

Fiorentina, Bernardeschi: "La 10, l'Inter e il Manchester: vi racconto tutto. Ho avuto paura di dover smettere"

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Stagione della consacrazione? Federico Bernardeschi c'è. Lo dicono i gol, già 7 in 17 partite. Lo dice la sua capacità di adattarsi a più ruoli senza fiatare. Lo dicono le sirene di mercato sempre più insistenti. C'è chi parla di un derby milanese per assicurarsi Brunelleschi, l'artista viola. Inizia proprio dal mercato la lunga intervista concessa da Bernardeschi a La Gazzetta dello Sport:

"Si dice che un giorno potrei essere interista? Ho letto, ma ho letto anche del Barcellona, della Juventus: nel calcio quasi tutto è nuvola, solo quello che non è nuvola diventa fuoco. Io oggi sto bene alla Fiorentina, e se hai un contratto lo devi rispettare: certe cose si decidono sempre in due". Da giovanissimo ci fu l'occasione inglese: "La voce del Manchester girava: ero orgoglioso, sì, ma l’idea non mi esaltava più di tanto. A Firenze stavo bene, sapevo che sarei diventato in ogni caso un calciatore e poi credo al destino: vuol dire che la mia strada era questa. E comunque Corvino c’entra anche in questa storia, Vergine fu chiaro: 'Il direttore dice che non se ne parla'. Papà era d’accordo con lui, l’ultima parola fu mia e non mi sono pentito, anche con la testa dei 22 anni e non dei 17 dico che era presto: si va all’estero se si è già calciatori, da ragazzini si deve pensare a lavorare".

Sulla scelta di indossare la 10: "Penso a chi ha avuto il 10 viola prima di me, penso a loro due, Antognoni e Baggio. Anche se Antognoni l’ho visto solo su Internet. L’idea mi ronzava in testa da un po’: quando Aquilani lo lasciò libero chiesi a Pasqual, Gonzalo e Borja 'Lo vedreste come un gesto presuntuoso?'. La risposta fu no: a quel punto, zero dubbi. Mai pensato 'Chissà quanto peserà', ma solo 'Me lo devo meritare'. E un anno e mezzo dopo dico: non pesa, anzi è una forza in più. La prima “vera” che ho indossato ce l’ho conservata nell’armadio, è quella dei due gol al Barcellona: male non mi ha portato...".

Buffon, concittadino illustre: "Eh, Gigi... Dire che lo ammiro è banale, Gigi è uno da studiare: io ci provo, il problema è che poi mi sorprende sempre. La prima volta che l’ho sentito parlare mi sono detto: 'Ecco, lui è uno di quelli che gli basta aprire bocca e tu non ti distrai'. Con me, il primo giorno a Coverciano, si fece bastare una frase: 'Hai solo un dovere: dare sempre il cento per cento0. Il primo giorno dell’Europeo no, ne scelse qualcuna in più. Il succo era 'Tutti per uno, uno per tutti', che detta così sembra una di quelle cose che dicono tutti. Invece no, ci siamo guardati ed è stato un attimo: avevamo già capito che si poteva fare qualcosa di grande".

Il futuro del 10 viola poteva essere in vasca: "Povero istruttore di nuoto, come l’ho deluso. Da piccolo avevo quasi un rifiuto: ­ 'Perché devo stare dove non tocco?'. Poi un giorno andai sott’acqua con mio padre e non mi fermò più nessuno. Mi chiamavano il tedesco perché ero biondo platino: ogni tanto sparivo e arrivavo alle boe da solo. Iniziai ad andare a lezione e a 8­-10 anni, non ricordo bene, vinsi i regionali. Il maestro mi voleva mandare ai campionati nazionali, ma lo stroncai: 'Io gioco a pallone'. Diceva che avevo una carriera da nuotatore davanti, ma fra il dire e il fare cosa c’è di mezzo? Il mare, appunto".

Per un periodo Federico ha temuto di dover smettere: "Sembrava che il cuore si fosse ingrossato. Me la ricordo come se fosse ieri la faccia del professor Galanti, dopo la visita d’idoneità: 'Federico, devi fermarti sei mesi, il tuo cuore è più grande del normale'. E mi ricordo cosa feci appena arrivato a casa: spaccai a cazzotti due mobili e una porta, ma era rabbia più che depressione. In certi casi perdere la strada è un attimo, mi sarei potuto lasciare andare, ma la famiglia, gli amici e Dio mi aiutarono a non distaccarmi dal mondo, anche se furono sei mesi d’inferno: zero sforzi fisici, niente calcio, molte lacrime. Fino alla visita successiva: 'Puoi riprendere a giocare, va solo tenuto sotto controllo: il cuore è uguale a sei mesi fa'. Ovvero: gli sforzi non c’entravano nulla, semplicemente ero cresciuto tantissimo io ­ in un anno da 1,60 a 1.76 ­ ed era cresciuto pure lui. Mi sentii una lampadina: mi ero spento, mi avevano riacceso!".

Berna chiude l'intervista facendo chiarezza su un altro argomento di discussione, il suo ruolo: "C’è confusione anche sul mio ruolo? Che io mi senta più trequartista o esterno più puramente offensivo lo sanno pure i muri, ma se l’allenatore mi fa fare anche altro adesso faccio due riflessioni. Una: sono cose che metto nel bagaglio, mi serviranno in futuro. Due: se me le fa fare, vuol dire che le posso fare e che si fida di me. E a me quel bagaglio ancora non serve: oggi mi serve più la fiducia della duttilità".



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