Con un comunicato ufficiale, la Figc ha reso noto di aver sanzionato il presidente della Sampdoria Massimo Ferrero con quattro mesi di inibizione per irregolarità sui pagamenti dei lavori di ristrutturazione del centro sportivo Mugnaini, a Bogliasco. Ferrero sarebbe reo di aver girato 1.159.000 euro dalla Sampdoria a una società riconducibile al gruppo Ferrero (la Vici s.r.l. di cui era rappresentante legale la figlia Vanessa Ferrero, ai tempi, nel 2015/16, anche Consigliere di Amministrazione della Sampdoria) a fronte di fatture per operazioni inesistenti relative alla pianificazione del Mugnaini, distraendo di fatto le risorse corrispondenti dall’utilizzo nell’interesse della Sampdoria.
La sanzione di quattro mesi coinvolge anche la figlia Vanessa, mentre al club blucerchiato sono stati comminati 15mila euro di ammenda per responsabilità diretta e oggettiva.
In serata è arrivata la nota del club.
«L’accordo raggiunto in sede di Giustizia Sportiva non rappresenta alcuna ammissione di responsabilità, tantomeno in ambito penale». Gianluca Tognozzi, avvocato e consigliere d’amministrazione di U.C. Sampdoria, sottolinea e precisa in merito all’inibizione del presidente Massimo Ferrero, della figlia Vanessa Ferrero (ex componente del CdA) e dell’ammenda inflitta al club.
Tognozzi spiega: «La scelta del presidente Massimo Ferrero di patteggiare alla Procura FIGC è stata dettata dall’interesse esclusivo e superiore di tutelare nel massimo grado possibile U.C. Sampdoria, nonché da evidenti e connesse ragioni di opportunità che muovono, anzitutto, dalle differenti e di gran lunga superiori tempistiche della giustizia ordinaria rispetto a quella sportiva».
«È altresì opportuno evidenziare al riguardo – prosegue Tognozzi – che attualmente il procedimento penale pende, per gli stessi fatti, nella fase dell’udienza preliminare e, nonostante si nutrano fondate ragioni per ritenere che il presidente Massimo Ferrero potrà dimostrare in quella sede la sua assoluta estraneità, le tempistiche occorrenti per il raggiungimento del più ampio e liberatorio esito assolutorio nel procedimento penale – che avrebbero positivamente condizionato il parallelo procedimento sportivo – hanno suggerito all’interessato l’opportunità di aderire all’accordo per l’applicazione della sanzione dell’inibizione. Oltrettutto, in sede sportiva, non si sarebbe potuta spiegare efficacemente un’adeguata difesa, considerato l’elevato grado di tecnicità dei fatti contestati e la diversità delle regole processuali che sovrintendono all’uno e all’altro ordinamento».
In conclusione Tognozzi ribadisce: «Si tratta di fatti già noti ed è evidente che l’accordo raggiunto in sede sportiva non rappresenti alcuna ammissione di responsabilità circa i fatti contestati nel procedimento penale».