Felipe Anderson, dalla lite al gol: la Lazio ha il suo Will Hunting
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Data: 22/02/2018 -

Felipe Anderson, dalla lite al gol: la Lazio ha il suo Will Hunting

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Felipe Anderson è un po' come Will Hunting. E se avete visto il film sapete già la trama. Teoricamente ha tutto. Talento, potenzialità, quel piglio un po’ retrò dell’ala pura, imprendibile. Luci e ombre da "bello e dannato". Perché poi è devastante solo quando vuole, spesso incostante, a tratti anche svogliato. Da schiaffi. O da applausi come stasera, contro la Steaua, lampi e strappi di Pipe.

Prima salta tutti e rifila una rabona da “wow” d’obbligo, poi sforna due assist al solito Immobile per la tripletta. Ora è il primo italiano a segnare un hat-trick in Europa League (superato Inzaghino per numero di gol siglati con la Lazio, 57 a 55). Cappelli giù. E Felipe top: oggi ha rincorso l’avversario, è tornato in difesa, ha dribblato, segnato, è stato protagonista del 5-1 della sua Lazio alla Steaua. Ottavi conquistati. Quarto gol stagionale poi, il primo dopo la lite con Inzaghi e la pace ritrovata. Il mea culpa.

Non più l’ombra di sé stesso, non più la faccia da schiaffi. Sorrisi e abbracci ora, quello con Inzaghi è da polaroid. Fotografia di una Lazio ancora brillante. Genio ribelle, Will brasiliano. E Simone come Robin Williams tra l’altro. Un prof. Buono, buonissimo, ma non fatelo arrabbiare. Guai a farlo, vero Felipe? Ora ha capito: meno alzate di testa, più visione di insieme. E finalmente. Perché negli ultimi anni abbiamo avuto un’immagine offuscata del suo style of play, distorta. Quella di un ragazzo a cui hanno dato un’equazione da risolvere. Di quelle ermetiche a cui neanche il professore viene a capo. Pipe l’ha decifrata in pochi passi ma si è adagiato sugli allori, cullato da quel talento di cui ogni tanto è prigioniero. Stavolta no, ha capito la lezione, ha sacrificato il proprio io sull’altare dell’insieme. PS: l’Inzaghismo militante. Ha ascoltato, capito, abbassato la testa. Dribblato la ribellione tattica sul ruolo, eluso l'indifferenza di chi ha fatto fatica a comprenderlo. Infine, col tempo e i rimproveri, col lavoro e il sacrificio un tempo sconosciuto, trasformato i malumori in standing ovation. E abbracci sinceri. Come quelli tra Matt Damon e Robin Williams su una panchina di Boston. Come quello tra Felipe Anderson e Inzaghi sul prato dell'Olimpico.



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