L’età è soltanto un numero, si dice. Oggi ne compie 57, Diego Armando Maradona, ma nessuno porta il conto. Ci si ricorda soltanto il giorno, quello sì, come si fa per i santi e altre ricorrenze. Lui però non ha bisogno di sembrare più giovane, perché con le sue gesta si è consegnato ad un mito senza tempo, diventando idolo e rendendo inutile qualsiasi riferimento cronologico. La sua vita ormai viene scandita in fasi, che ruotano tutte intorno a Napoli: prima, durante e dopo.
L’Argentina, Barcellona e Napoli sono tre realtà che lui ha contribuito a rendere più simili tra loro. Con quell’atteggiamento di chi non teme nessuno e che spesso non gli ha fatto nemmeno percepire razionalmente i pericoli di vizi e frequentazioni. In azzurro ha trovato l’esaltazione di ogni aspetto. Ha portato in cima una squadra che poteva annoverare il passaggio di tanti campioni (Sivori, Altafini, Zoff, Juliano) ma nessuna vittoria in campionato o in Europa. Ma soprattutto aveva compreso fino in fondo la voglia di rivalsa di un popolo nei confronti delle grandi del calcio italiano, quelle unite dal nero, in un discorso che spesso con troppa acredine si mescola alle origini dell’unità nazionale.
Il suo volto sventola ancora, sulle bandiere del San Paolo. E’ diverso adesso, rispetto a quando ci giocava lui. Era totalmente scoperto, la gente per vederlo incantare si arrampicava dappertutto e la capienza oltrepassava le ottantamila persone. E non deludeva quasi mai, ci teneva a quell’affetto che gli era stato dato fin dalla presentazione. Non si trattava soltanto di guardarlo mentre segnava. Gli bastava toccare il pallone, palleggiare, per far divertire chi magari era lì per assistere all’allenamento, al centro di Soccavo. E così con arance, bottiglie, palline da tennis, da ping pong. Un talento divino, in un corpo più che umano. Impossibile, in quel periodo, non sviluppare un sentimento fortissimo verso l’argentino. Le sue vittorie erano quelle di tutti i napoletani, che ne ammiravano i prodigi. Consapevole di un’investitura così delicata, non ha mai avuto timore di esporsi, per se stesso e per la squadra.
Dopo l’addio al calcio, i momenti bui sono aumentati e rischiava di non vederne più l’uscita. Gli affetti e quella prospettiva più saggia, che il passare del tempo infonde un po’ a tutti gli uomini, gli hanno dato la forza di ritrovare un equilibrio. Ora cerca di tenere compatta una famiglia numerosa e allargata, allena e accetta ruoli istituzionali, sempre col sorriso e con la voglia di regalarne uno. Nei vicoli del centro storico di Napoli c’è un altarino a lui dedicato, ci sono anche murales enormi, che simboleggiano rivalsa e speranza. E ricordano che le rivoluzioni cominciano sempre dagli umili.