Niente proroga. Questa la decisione del Consiglio dei Ministri. I vantaggi fiscali garantiti allo sport dal Decreto Crescita, in particolare al calcio, non saranno più applicabili a partire dal 2024. Per approfondire il tema e commentare i possibili scenari, a Gianlucadimarzio.com è intervenuto il giornalista esperto di economia e finanza, Marco Bellinazzo.
“Credo che sia una decisione sbagliata, nel senso che non considera il calcio come un settore industriale di enorme rilevanza e che produce attraverso il proprio contributo fiscale quasi 800-900 milioni ogni anno: dovrebbe aver maggior attenzione perché produce le risorse che consuma questa agevolazione. Non sono soldi extra che vengono tolti agli altri cittadini. Dopo di che, rispetto alle possibili preoccupazioni su possibili discriminazioni verso i calciatori italiani sono in qualche modo smentite dai risultati importanti conseguiti dalle Under italiane e sono in parte già recepite visto che la normativa modificata del 2022 aveva stabilito un tetto di un milione di euro per 20 anni per accedere a questa agevolazione. Poi c’è un rischio contraddittorio: in questo modo poi i calciatori rientrerebbero nel regime ordinario previsto per i così detti impatriati e di conseguenza il beneficio si potrebbe applicare solo a quei professionisti che guadagnerebbero fino a 600mila euro: quindi prevalentemente per i giovani e non per i grandi giocatori, il che creerebbe un effetto boomerang evidente. Servirebbe qualche chiarimento a livello legislativo…”, così il giornalista del Sole 24 Ore.
Sulle conseguenze per il calciomercato: “Normalmente i giocatori hanno uno stipendio al netto, ma ora l’ingaggio sarà molto più alto. Per esempio un giocatore che guadagna un milione: col decreto crescita per la società il costo era di 1,5 milioni e adesso sarà all’incirca di 2. Ci sarà un incremento notevole perché verrà meno questo bonus del 50%. In un sistema italiano che fatica ad essere competitivo e che non ha ricevuto sostegno: penso agli aiuti per la costruzione degli stadi, all’abolizione del decreto dignità e al riconoscimento della percentuale del giro d’affari per le scommesse che viene generato sfruttando il diritto d’autore delle società di calcio, senza che queste incassino un solo euro. Si determina un sistema ancora meno favorevole in un momento in cui il calcio italiano avrebbe bisogno di sostegno essendo un comparto industriale che certamente bisogna riformare, che non si rende simpatico all’opinione pubblica, ma contro il quale esiste una demagogia di fondo quando si intende approcciare in aiuto al sistema”. E sulla spesa pubblica: "La Lega Serie A ha inviato al Governo nelle scorse settimane l'indicazione relativa al fatto che l'incremento dei costi per le società sarebbe di 150 milioni, questo ci dà un po' la misura di quello che è il beneficio per i club, l'extragettito e quindi la spesa che ha lo Stato per questa misura”.
Nelle scorse ore sono arrivate le dichiarazioni di alcuni dirigenti di club di Serie A e c'è stato un comunicato anche della Lega in cui si fa riferimento alla distruzione del calcio italiano: "Nonostante qualche risultato incoraggiante, che il calcio italiano sia in grande crisi l’ho scritto nel 2018 in un libro che si chiama ‘La fine del calcio italiano’. Pochissimo è stato fatto nonostante la buona volontà di tante società perché non c’è mai stato un approccio di politica industriale da parte del governo, a differenza di quanto accade non solo nelle autocrazie come in Arabia Saudita. Sono tantissimi i governi che operano sostenendo il calcio, in Italia invece è un peccato aiutare il calcio di Serie A. Capisco le problematiche di carattere pubblico in cui le risorse scarseggiano, ma è evidente che si possano trovare soluzioni di compromesso abolendo il decreto crescita in maniera graduale e allo stesso tempo aiutando il calcio in altri modi. Lasciarlo a sé stesso significa non avere una politica industriale ed è la scelta peggiore che possa fare un governo”.
E sui possibili esempi virtuosi da poter seguire in Europa: "Forme di aiuto attraverso la tassazione ce ne sono state in diversi Paesi. Quel tipo di sostegno in qualche modo non può essere eterno, ma abolito gradualmente per dare tempo ai nostri club di adeguarsi e accompagnandoli con elementi di carattere strutturale e normativo. I soldi prodotti dalle società calcistiche sono quanto meno 700 milioni all’anno e di conseguenza gli aiuti forniti non vanno ad intaccare le tasche dei cittadini perché prodotti dal sistema calcio. Anzi, è il sistema fiscale che utilizza le società di calcio in quanto aziende”.
Tra le conseguenze però ci potrebbe essere anche un maggior impiego dei giovani nel nostro campionato: “Avendo meno incentivo nell’andare all’estero può essere più semplice attingere dal proprio vivaio. Ma è anche vero che i vivai sono pieni di stranieri. Questo dipende da altri tipi di vantaggi a livello di mercato al di là del bonus fiscale che le società ritengono di avere. Credo che ci sia un problema palese relativo ai giovani calciatori italiani che fanno fatica a fare l’ultimo step verso il professionismo, nonostante siano bravi, rispetto a tante altre leghe. Allora bisogna chiederci quale sia la soluzione per accompagnare questo progetto di crescita. In Italia credo che ci siano esempi virtuosi come quello della Juventus che attinge al vivaio e alla seconda squadra anche se in una fase di crisi. Su questo tipo di modello si deve puntare per valorizzare sui giovani, forse bisognerebbe anche ripensare la filiera della formazione, alla cura del talento e su quello bisognerebbe battere. Bisognerebbe imporre di risparmiare quel risparmio fiscale del decreto crescita per investire sui vivai: sarebbe stato un compromesso che ci poteva stare e magari nei prossimi mesi si potrà trovare un punto di intesa, sempre che il decreto Mille Proroghe una volta arrivato in Parlamento non trovi un aggancio per ottenere una proroga”.