Una faccia da adolescente dal sorriso contagioso. In campo uno stile un po’ retrò: capelli biondi e lunghi con la fascia sulla fronte. Esterno offensivo o attaccante che ai più ricorda Caniggia e Batistuta. “Le comparazioni me le fanno sempre per l’aspetto fisico: sono due giocatori che ammiro, per me sono due referenti. Ma i paragoni non li prendo molto sul serio”, così Pedro De La Vega a Gianlucadimarzio.com, tra una risata e l’altra dalla calda Buenos Aires.
La maglia di Batigol però il classe 2001 l’ha indossata davvero lo scorso anno durante la quarantena, nella casa della sua famiglia a Olavarría, dove non trascorreva del tempo ormai da qualche anno. “Ho indossato la 9 dell’Argentina di Batistuta, ma è di mio fratello e l’ho usata per allenarmi. E’ stato un momento bello perché sono tornato a passare del tempo con loro. I miei due fratelli sono professori di educazione fisica, così come i miei genitori”.
Un periodo per ricaricare le batterie con i propri cari, ma anche per crescere fisicamente. “Mi sono allenato molto in quel periodo e il mio fisico è cambiato. A casa mia abbiamo tanto spazio all’aperto e non si sapeva quando sarei tornato ad allenarmi con la squadra, quindi facevo doppie sedute con la mia famiglia tutti i giorni e in più seguivo il programma dei preparatori del Lanús. Ho anche migliorato il tiro di sinistro. Diciamo che è stato un allenamento esclusivo per me”. Oltre ai familiari e allo staff del club, anche la Twenty Two, l'agenzia che lo rappresenta, gli ha messo a disposizione uno psicologo e un nutrizionista.
Una famiglia di sportivi, ‘futbolera’ come la chiama Pepo, che lo ha sempre sostenuto e accompagnato. “Mio padre è stato giocatore e poi allenatore nella squadra della città, i miei fratelli hanno giocato. Quando mi sono trasferito nella pensione del Lanús a 13 anni erano sempre presenti, ogni weekend venivano apposta a Buenos Aires per vedermi giocare e poi ripartivano. La mia famiglia mi ha sempre dato quell’energia e quell’appoggio necessario per essere sempre concentrato sul campo: è stata, è e sarà sempre importante per me”.
Una base solida su cui poggiare che lo ha formato. Ma essendo il più piccolo di quattro fratelli non è sempre stato facile: “Sono stato sempre un po’ bullizzato da loro, ma questo ha creato la mia personalità. Mi picchiavano, mi facevano piangere e mi verrebbe da dire che per fortuna sono andato al Lanús a 13 anni sennò mi avrebbero fatto diventare pazzo – scherza -. Infatti, capitava che di notte mentre dormivo continuassi a dire ‘Non è gol!’ o altre cose della partita che mi immaginavo. Credo che sia colpa dei miei fratelli e anche di mia sorella”.
La scommessa, Zubeldia e il cambio di ruolo
Il pallone è sempre stato il suo divertimento. Forse anche l’unico, nonostante faccia parte di una generazione cresciuta con smartphone e videogiochi. “Non abitavo in città e non ho mai avuto una playstation, mio padre mi diceva ‘vai fuori a divertirti, non ti serve la Playstation’. Poi a un certo punto mi comprarono la Play 2, ma quando era già uscita la 3. Allora quando ero nella Septima del Lanus facemmo una scommessa con mio padre: la Playstation 4 se avessi segnato 20 gol. Quella fu una stagione molto bella, lottammo per il campionato, segnai 20 gol e l’AFA mi nominò miglior giocatore. Me la comprarono ma poi alla fine non l’ho usata molto, mi ero abituato a non giocarci, la tengo lì accanto alla tv. Rimane un bel ricordo”.
Dalla Septima del Lanús al debutto in Primera Division senza passare dalla Reserva (la nostra Primavera, ndr). Grazie a Luis Zubeldía: “Gli sarò sempre grato: mi ha promosso in Prima Squadra in un momento in cui non stavo giocando. Deve aver visto qualcosa e ha avuto il coraggio di mettermi in campo. E’ come uno di quei professori che si interessa ai propri ragazzi. Mi ha aperto tante porte: grazie a lui sono andato in Nazionale e ho giocato una finale di Copa Sudamericana”. Prima di De La Vega, Zubeldía aveva lanciato al Racing i vari De Paul, Bruno Zuculini, Centurión e Vietto per poi vederli in Europa con alterne fortune. “Spero di essere il prossimo. In varie occasioni mi ha detto che gli ricordavo Centurión per la disinvoltura con cui ho giocato le prime partite”.
Nel 2018 ha debuttato come esterno, mentre in passato aveva giocato anche da mezzapunta e da interno di centrocampo. Da allora ha segnato 11 gol in 85 presenze complessive. Tuttavia, l’ultimo semestre è stato quello più difficile per il talento del Granate. “Ho giocato meno perché quando sono rientrato dai Giochi Olimpici ho cambiato ruolo. Ho iniziato ad allenarmi come seconda punta e i due attaccanti titolari Sand e Lopez stavano facendo bene a livello realizzativo. Mi è toccato aspettare un po’, ma ora ho tanta voglia di dimostrare il mio valore e tornare ad essere protagonista. E’ un’esperienza che mi renderà più forte. Zubeldía non mi ha voltato le spalle, anzi, mi ha sempre dimostrato fiducia. La scorsa settimana ha dichiarato che lascerà il club alla fine della stagione, quindi quando se ne andrà sicuramente lo abbraccerò e lo ringrazierò”.
2022 con la Nazionale e l’Europa nel mirino
Zubeldía lo ha lanciato e gli ha permesso di conoscere Scaloni, quando era ancora il ct dell’Argentina Sub20. “Con lui mi sono allenato tre volte, ma è stata la prima volta che entravo nel centro federale di Ezeiza, poi mi ha sempre convocato il Bocha Batista, un allenatore da cui ho imparato molto. Scaloni è un ct che guarda molto i giovani, lo conferma anche l’ultima convocazione ed è una motivazione in più per tutti”. Scaloni lo aveva inserito nella lista dei 50 pre-convocati per la Copa América vinta in Brasile la scorsa estate, con Pepo che l’ha vissuta insieme al resto della delegazione olimpica. “Messi è il mio idolo, come credo di tutta la mia generazione e la Copa América vinta dalla Seleccion la vediamo come un premio per lui. Credo che sia il giocatore che ho ammirato di più in tutta la mia vita. Eravamo in Corea per giocare un’amichevole, e ricordo che fu molto frenetico il prepartita della finale: dovevamo fare il tampone, sperare di non avere positivi e andare in hotel a vederla in tv. Fu molto bello perché eravamo tutti vestiti con la divisa albiceleste e poi abbiamo festeggiato”.
La Nazionale e l’Europa sono obiettivi per il futuro. “La cosa che più desidero per il 2022 è giocare. Spero di avere un anno splendido, pieno di gol e dribbling. Ho il sogno di giocare in Europa, come tutti i sudamericani. La Champions è la mia competizione preferita e spero di fare come tanti miei connazionali”. Un sogno che potrebbe realizzarsi, vista la poca continuità avuta nell’ultimo periodo che ne ha abbassato le richieste economiche del Lanús, ma anche grazie a un passaporto comunitario ottenuto nelle scorse settimane dovuto alle origini italiane della mamma, con antenati di Macerata. Nelle scorse sessioni di mercato lo avevano cercato anche dall’Italia, con Parma, Atalanta e Genoa in prima fila. “Di solito se ne occupano i miei agenti, voglio avere la testa solo sul campo e sono concentrato sul presente. La trattativa che ho vissuto più intensamente è stata quella col Genoa, perché in quel momento se ne parlava molto: avevo debuttato da poco e ascoltavo tutto, adesso non leggo molto le notizie e i social. Qualche anno fa ero più curioso, ora preferisco starmene tranquillo”. Un cambiamento fisico, ma anche nella testa: anche questo è un segno di maturità, in attesa della prima esperienza oltreoceano.