“Ci vediamo al Penzo, promesso. È tanto che non vado a vedere il mio Venezia”. La stretta di mano – una manona, proprio da roccioso difensore – forte e calda, il largo sorriso che si allontana su per le scale: “L’intervallo è finito da un pezzo, scappo che siamo indietro col programma”.
Damiano Zugno era un entusiasta.
Della vita e dei suoi mille mondi. Ne aveva scelti due, il calcio e la scuola. Non li aveva mollati nemmeno quando nel settembre 2018 gli era stato diagnosticato un carcinoma cerebrale. Quattro mesi e un’operazione dopo era già tornato in campo e tra i banchi: “Una liberazione”, ci raccontava il prof-calciatore all'Istituto Galilei di Treviso. “Di fronte a partite così difficili è fondamentale trovare delle ancore a cui aggrapparsi”.
Quella promessa non potrà mantenerla. Damiano è morto in un letto di ospedale. Aveva 31 anni. Il male ha vinto una partita che Zugno ha voluto raccontare sin dall'inizio. Non per protagonismo, anzi, ma perché aveva capito di poter fare da megafono alle vite come la sua. Stravolte all’improvviso e senza senso: “Io credo che le esperienze vissute possano sempre creare punti di contatto tra loro”. E Zugno aveva assaggiato il calcio dei grandi: nelle giovanili del Venezia con Sirigu, in Nazionale dilettanti con Caputo, fino al debutto in Serie B col Mantova di Godeas e Fiore.
“Lì ci si rende conto quanto è difficile giocare a certi livelli”. Damiano aveva puntato così alla laurea in storia e alla cattedra, del calcio rimase la passione nelle serie dilettantistiche venete. Ma quel contatto coi campioni era riemerso poi nel momento del bisogno: “Devo ringraziare soprattutto Filippo Cristante”, ex compagno nel Mantova, “che si è attivato per far sapere la mia storia”. Da Morgan De Sanctis a Francesco Benussi, piovvero i messaggi di incoraggiamento. E il web iniziò a conoscere la speranza di quel ragazzo, tornato a giocare dopo la malattia.
Con la sua ultima squadra, lo Zero Branco in Prima Categoria, Zugno era anche tornato al gol lo scorso ottobre. Purtroppo le buone notizie finiscono qui. Damiano è morto quando anche il suo calcio e la sua scuola si sono ormai fermati, in un mondo addormentato e ferito. “È sempre importantissimo trovare le motivazioni per vivere”, insisteva prima di tornare in classe. “E mi voglio rivolgere a coloro che stanno vicino a chi sta male. Sopportate sempre e con forza, da stabili appoggi. Anche nei momenti di rabbia, che all’interno della malattia sono inevitabili”. Oggi il suo appello risuona ancora più forte.