A distanza di una decina di giorni, Fabio Lauria non si rende evidentemente conto di quello che è stato capace di fare. Comunque andrà a finire, la storia del calciatore napoletano si è intrecciata in maniera quasi indissolubile a quella del Parma Calcio 1913. E di storie come questa, Fabio nella sua lunga carriera, non ne aveva scritte mai. Ci aveva provato, ma il lieto fine non c’è mai stato. La sua rovesciata al Romagna Centro ha proiettato il Parma verso i professionisti, in maniera quasi ufficiale, dato che è giunta all’ultimo minuto di una partita tirata, tiratissima, presa per i capelli, con un’acrobazia in stile figurine Panini. Una rovesciata di rara potenza e pesante come un macigno, “e chi se lo aspettava”, dice a Gianlucadimarzio.com il giocatore crociato, “sono entrato a tre minuti dalla fine, venivo da un infortunio che mentalmente ha pesato tanto, in un momento dove la partita stava andando sullo 0-0. Il mister mi ha chiamato e sono stato anche fortunato a trovarmi su quella palla. Sono capitato lì e l’istinto mi ha portato a compiere quel gesto”.
Un gesto atletico che ha catapultato in cielo, dove è salito Lauria per prendere quella palla, il Parma e lo stesso Fabio che, da quel momento in poi (forse), ha capito che nulla era più come prima: “Non pensavo mi potesse cambiare la vita, all’inizio non ci ho pensato perché sì, ho fatto gol, un gol pesante, bello, tutto quello che vuoi, ma rimaneva comunque un gol. Ho cominciato a capire il giorno dopo cosa avevo fatto, tutti gli attestati di stima, un po’ dai compagni di vecchia data, calciatori amici, una marea dai tifosi, gli abbracci dei direttori, dei compagni, del mister… . Ho iniziato a realizzare che avevo fatto qualcosa di bello e di importante”. Anche per l’anno prossimo, sicuramente. Perché da giugno in poi, le cose si faranno più difficili e, passo dopo passo, si capirà l’intensità e la voglia che il Parma avrà di andare a prendere quello che gli hanno brutalmente scippato. Con Lauria? “Lo spero – dice il calciatore – l’anno prossimo inizia ad essere interessante e bello stare qui, la società vuole fare qualcosa di importante e, vincere il campionato di Lega Pro, ti proietterebbe nel calcio che conta. Ho dato tanto in tutti i sensi, mi auguro che la società lo abbia capito. Spero di rimanere…”. E pensare che Fabio poteva diventare un giocatore di pallavolo… . “Dai su, non scherzi, mi ha visto? Non ho la statura adatta, lo aveva capito anche l’istruttore della palestra Kodokan, a Napoli, dove mio padre mi aveva portato a cinque anni. Lì c’era anche il judo e il calcio. Avevano iscritto me e mio fratello a pallavolo ma non la prendevamo mai, tanto che l’istruttore ha detto a mio padre che sarebbe stato meglio virare sul pallone. Da li è partito tutto: tornei, campionati, si iniziava a intravvedere che il calcio poteva essere il mio futuro. A 12 anni ho cominciato a girare l’Italia per provini, sono stato anche a Parma. Finche mio padre un giorno mi dice: ‘Fa, oggi non andare a scuola’. E io: ‘Va bene’. Monto in macchina e appena metto la cintura di sicurezza mio padre mi dice: ‘Andiamo all’aeroporto’. ‘Ma io in aereo non mi ci metto’ dicevo, ‘ho paura’. Mi stavano aspettando degli emissari del Brescia, mio padre non mi avevano detto nulla. Appena firmo con il Brescia, mi telefona Teresa Montanari, che avevo conosciuto in un torneo estivo e che curava il settore giovanile del Modena. Mi volevano anche lì, e alla fine ho scelto di andarci. Mi piaceva di più l’altra opzione. C’era il direttore Paolo Borea che curava il settore giovanile e faceva anche la prima squadra. L’anno dopo aveva preso in mano la Ternana di Agarini, quella vera e aveva deciso di ricostruire il settore giovanile, partendo da me. E’ stato un anno bellissimo, ho fatto quattro anni a Terni facendo la Primavera in anticipo. Finché mi è arrivata la proposta che forse mi avrebbe cambiato la vita”.
E qua Fabio Lauria ci pensa un po’, forse con rammarico, comprensibile come cosa. Perché quando ti chiama la Juventus o sai giocare a calcio, oppure sai giocare a calcio. E, prima di parlare, prende fiato e beve acqua. “Pietro Leonardi, allora responsabile del settore giovanile dei bianconeri, mi voleva portare con lui, c’era Mimmo Criscito,con cui avevamo fatto le Nazionali che mi parlava di questa possibilità. Dormivo con lui in convitto. La Ternana forse ha chiesto troppi soldi e io non sono andato. Mi hanno fatto il contratto di cinque anni, ne avevo 16, sarei rimasto a Terni. Però la Juventus mi poteva dare ovviamente di più. Era una cosa che avevo saputo dai giornali, ero in vacanza a San Benedetto. Sono andato in ritiro con la Ternana, ho parlato con il mister, ma non potevo rifiutare, avevo addirittura salutato la squadra perché era quasi tutto fatto, ma poi non so cosa è successo e tutto è saltato. Questo e il provino con l’Aston Villa i rammarichi più grandi della mia vita calcistica”. In Inghilterra era riuscito a volare con Gianni di Marzio, “quando io facevo gli allievi. Paolo Palermo – dice Lauria - il mio agente, conosceva Di Marzio che lavorava in Inghilterra e mi ha portato in ritiro all’Aston Villa. Ci sono andato con mio padre, ho visto una grande realtà, per la prima volta grandi e piccoli mangiavamo insieme e si allenavamo insieme. Durante l’amichevole che doveva decidere tutto, mi sono fatto male alla caviglia a causa di un’entrataccia. Peccato, ho fatto un’esperienza bellissima. Ho visto giocare David Ginola. Era un mostro, quello che mi aveva impressionato di più”.
Lauria il calcio vero lo ha visto, però. “Ho giocato con Jimenez, Candreva, Davide Nicola, sono stato pure suo giocatore a Lumezzane, Miccoli, ne ho visti tanti. Schenardi, Esposito, Floro Flores, Antonini”. Ha fatto la Serie B, con l’Arezzo, ha conosciuto Ermanno Pieroni e Gustinetti, Abbruscato e anche Pietro Leonardi, due fallimenti, uno con la Reggiana e uno il Lanciano e fatto tanti sacrifici che lo hanno reso forte. Più forte di tutto. “L’anno di Reggio Emilia ho giocato poco. Prima delle ultime due partite dei play off avevo fatto sei spezzoni. Contro il Giulianova sono entrato come mi è successo a Cesena, contro il Romagna Centro. Bruno Giordano, l’allenatore al tempo, mi fa entrare senza riscaldamento: ‘Levati la tuta, avanti’. Prima palla che tocco e faccio gol. Vinciamo la partita ma non vedo il campo. Arriviamo ai Play Off e giochiamo con l’Avellino in casa, perdiamo 2-1. Il lunedì viene il mister e mi dice: ‘Domani giochi, non deve dirmi niente nessuno’. A 18 anni mi tremavano le gambe. Era la prima partita con mio padre e mia madre in tribuna, da titolare. 1-0 per loro, Ghirardello aveva fato gol. Io faccio doppietta. Il gol del pareggio su azione, poi dopo due minuti, su rigore sotto la curva dell’Avellino. Che bell’esperienza. L’anno dopo mi riscatta la Reggiana che fallisce, e vado ad Arezzo in B con tre anni di contratto. Pensavo fossi di passaggio, ma Pieroni mi dice: ‘Ti voglio provare’. Nella prima partita di campionato faccio l’esordio in B e li è stata soddisfazione”.
Il giramondo del pallone, Fabio Lauria, napoletano del quartiere Ponti Rossi, cresciuto con la valigia in mano e un sogno: “Fare il calciatore, ero pure bravo a scuola, mi sono diplomato con 86 in Ragioneria. Fosse stato per mia madre non sarei diventato un giocatore, mi voleva tenere vicino casa. A 12 anni sono andato via, con dispiacere, da Napoli che amo. Mi manca e a volte sento tante di quelle cose ingiuste nei confronti della mia città… . Ah, ho un altro rammarico”. Prima che finisca l’aperitivo Fabio confessa: “Che peccato non aver potuto vivere a fondo Napoli, una delle città più belle del mondo…”.
Guglielmo Trupo