Se Fabio Maffini ama il calcio da quando era piccolo e da ragazzino ogni occasione era buona per dare quattro calci al pallone con gli amici, lo deve alla passione ereditata da suo papà Claudio, scomparso anni fa, ma presente come non mai nei suoi pensieri e nella sua vita. Oggi, ad esempio, quando si prepara a vedere una partita del Milan, i gesti sono diventati proprio gli stessi: “Ricordo che si metteva davanti alla TV mezz’ora prima del fischio d’inizio e guai a chi gli rivolgeva la parola. Io ogni tanto gli chiedevo il punteggio finale senza aver visto niente e puntualmente rispondeva -Ma che milanista sei?-. Oggi invece sono proprio come lui, mi piace prepararmi per tempo ai match e a Fuerteventura mi sono trovato un locale dove mi lasciano vedere il Milan”.
Fabio vive da un po’ di anni su un’isola delle Canarie, si è trasferito lì per raggiungere la donna di cui si era innamorato portandosi i suoi due cani e una valigia enorme di ricordi ed esperienze. E di esperienze che gli hanno cambiato la vita ce n’è stata una su tutte: “Campioni”, nel 2004. “Sono stato catapultato in un mondo assurdo: ero abituato a giocare in Eccellenza con qualche spettatore, con Campioni ci capitava di avere 50000 persone a sostenerci. Abbiamo giocato contro il Milan di Maldini, Kakà, Gattuso e Ancelotti. Di fianco a Rui Costa e Shevchenko i ragazzini chiedevano gli autografi a noi. Lì mi sono reso conto della visibilità a cui eravamo esposti. Ma non avevo la testa per fare il calciatore professionista, ero un 23enne che pensava solo a godersi ogni cosa. Mi hanno offerto qualche opportunità dopo Campioni e ho fatto un programma in radio. Ma non era proprio il mio habitat naturale. Ho cambiato i miei piani e ora vivo facendo cocktail in riva al mare”.
Non capita tutti i giorni di incontrare un ragazzo che ha rinunciato in partenza alla vita del calciatore. Fabio non si è mai pentito di averlo fatto e oggi ha solo un rimpianto: non essere riuscito ad apprezzare alcuni momenti: “Se potessi tornare indietro mi prenderei alcune cose che quando ho vissuto non sembravano così importanti”. Però ci sono ricordi che si porterà dentro a vita: “Dopo il trapianto a cui venne sottoposto mio padre, lo portai a Milanello a vedere un’amichevole; forse con la Lucchese. Tra i tanti giocava Van Basten e in panchina c’era Sacchi: uno gli regalò la maglia, l’altro il pallone. Tempi diversi e persone diverse che appartenevano a questo sport. E lo dico io che tra i tanti tatuaggi che ho, userò quello di Kilpin per spiegare il Milan ai miei figli”. La sua vita oggi è felice, aspetta il terzo figlio con la sua compagna e si gode il mare e gli affetti.
Cosa gli manca? “Il cibo italiano, lo spogliatoio e qualche confidente che proverò a portarmi qui per un po’ di tempo”.