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Data: 09/05/2016 -

Dal muro dell'Arsenale al Picco: una passeggiata di 2 chilometri tra i ricordi dello Spezia e uno scudetto fantasma

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Una leggera corsetta, un po’ di torello, qualche scatto e due tiri in porta. Quando oggi parliamo di riscaldamento pre partita si fa immediatamente riferimento a queste scene. Difficile immaginare che quando la squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia andava a giocarsi lo scudetto del 1944 il suo riscaldamento era fatto di “baratto”. Rame e sale - prodotti facilmente reperibili in città - venivano scambiati con gli abitanti del posto con pane, pasta o altri generi alimentari di vitale necessità. Viaggiavano a bordo di un’autobotte scoperta, incuranti del clima e della pioggia. Si partiva sempre dalla porta dell’Arsenale in città e si ritornava lì. In caso di vittoria si arrivava in piazza e si suonava la tromba per farsi sentire da tutti.

Rischiare la vita durante la settimana e scendere in campo la domenica pomeriggio. Storie di un’altra epoca, storie di un altro calcio. D’altra parte nel 1944 in Italia il calcio era solo una distrazione dalla vita quotidiana che voleva dire seconda guerra mondiale. A La Spezia, la città più bombardata del paese, ancora di più, anche perché una squadra di professionisti a tutti gli effetti non esisteva più. Però il calcio era tutto, per la città e per i cittadini che storicamente hanno saputo aggregarsi solo ed esclusivamente quando si trattava di andare al Picco a vedere la partita.

Ecco perché a Ottavio Barbieri(già secondo di Vittorio Pozzo sulla panchina della nazionale italiana)fu affidata una squadra di ragazzi che per giocare vennero fatti assumere dai Vigili del Fuoco.

Nel luglio del 1944 la squadra si qualifica per disputare il triangolare con Venezia e Torino - il Grande Torino - a Milano. Prima partita pareggio con il Venezia, poi il giorno dopo lo storico successo sul Toro per 2-1. La Gazzetta dello Sport celebra il successo della squadra dei Vigili del Fuoco di La Spezia chiamandoli “Campioni d’Italia”, ma qualcosa in Federazione va storto. Prima il Torino minaccia di non voler disputare la propria partita con il Venezia nella speranza di mandare a monte il campionato e poi la Federazione finisce per non voler riconoscere il titolo allo Spezia. “L’8 agosto fu consegnata una coppetta durante un trasloco”, racconta il giornalista Armando Napoletano che ha ricostruito tutta la vicenda negli anni 2000. “In città non ci credeva nessuno nella possibilità di vittoria di quel titolo perché il Grande Torino era strafavorito”. Ma il campo disse tutt’altro. Grazie agli schemi all’avanguardia di Barbieri, che proprio in questi anni inventò la figura del libero e dell’ala destra, i Vigili del Fuoco si aggiudicarono uno scudetto mai riconosciuto ufficialmente, ma ugualmente storico. “La squadra dormiva in una caserma a Brescia e siccome l’autobotte che li trasportava era scoperta le divise erano sistematicamente bagnate dalla pioggia. Per asciugarle vennero messe in dei forni, ma alcuni si dimenticarono di toglierle in tempo e furono costretti a scendere in campo con le divise bruciate in molti punti”.

Non a caso, lo Spezia è l’unica squadra italiana - oltre a quella che ogni anno vince il campionato di Serie A -a portare il tricolore sulla propria maglia, grazie ad un titolo onorifico riconosciuto solo nel 2000 dopo una lunga battaglia legale. Nel campionato del 1945, infatti, la squadra non fu neanche iscritta al campionato e solo grazie ad una deroga nel ’46 ripartì dalla Serie B.

Ancora oggi, a distanza di più di 70 anni, i tifosi dello Spezia ripercorrono la stessa strada che collega la porta dell’Arsenale al Picco ogni qual volta si gioca la partita casalinga. Anche perché in città non c’è nulla che crei più aggregazione della squadra di calcio e la curva Ferrovia è considerata una delle più calde d’Italia per la passione che ci mette al di là di ogni categoria dove giochi lo Spezia.

E i “campioni di Italia” del ’44? Hanno terminato la loro “carriera” come Vigili del Fuoco, senza dimenticare il loro passato da calciatori e con l’amarezza di non aver mai potuto festeggiare al meglio una vittoria che solo a distanza di quasi 60 anni ha acquisito il riconoscimento meritato.



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