Una carriera lunghissima, a tuffarsi da un palo all'altro. Dalla Serie A agli amatori: "Ma mi manca ancora la Seconda Categoria". A raccontarcelo in esclusiva, con il sorriso, è Andrea Ivan. Lui che ha giocato fino a 44 anni ma che non è ancora sazio di farlo: "Anche perché se prendo gol pure in Seconda Categoria, a quel punto l'ho preso veramente in qualunque campionato" Continua ridendo. Dove farlo? "Non so, devo ancora decidere". Magari con lo Sporting Arno, dove insegna i trucchi del mestiere ai ragazzi che hanno preferito l'adrenalina di una parata a quella di un gol: "Ora loro sono in Terza Categoria, sono retrocessi l'anno scorso. Magari risalgono, chissà...". Anche la Serie C sulla sua strada, ovviamente. A qualche chilometro dalla sua Firenze, a Livorno: "Che ricordi... indelebili, nessuno me li può cancellare. Nemmeno se prendessi una botta in testa potrei dimenticare quegli anni". Si trasferisce qui nel gennaio del 2000. Ad accoglierlo una società e una città galvanizzate dall'arrivo di Aldo Spinelli, pronto ad intraprendere quella corsa che dalla C lo porterà fino al debutto europeo: "Sì, la squadra era stata costruita per vincere, ma non riusciva ad ingranare - ricorda Andrea - insomma, ci sono state diverse problematiche. Una sorta di caos che, però, l'anno dopo è sparito come per magia". La finale promozione persa contro il Como una delle poche note dolenti: "Anche se il pubblico è stato fantastico, aiutandoci a trasformare la delusione in forza per la vittoria dell'anno seguente". Dove il Livorno perde una sola volta, in casa con lo Spezia a quattro giornate dalla fine. Un misero passo falso apparentemente. Quanto basta, però, per rivedere i fantasmi della stagione precedente: "Siamo andati a giocare la partita dopo con tanta pressione addosso. Ma compatti, da vera squadra. Avevamo un giocatore come Igor (Protti) capace di vincere le partite da solo, ma non ci pensavamo. Anzi, lui era il primo a non volersi sentire così e si arrabbiava ad ogni passaggio sbagliato. Ecco, forse a questo Livorno manca un leader del genere". Tre vittorie nelle ultime dodici gare per il Livorno di oggi. Un vantaggio incredibile dilapidato nel giro di pochi mesi. Da una B che sembrava certa alla paura di non farcela: "È una situazione che non si vive bene - spiega Andrea - quando non arrivano i risultati può accadere che il singolo pensi solo a se stesso e che venga meno il collettivo. Questa è la cosa più deleteria che possa capitare ad una squadra". Ora il derby con il Pisa, l'occasione migliore per svoltare. Un bacio, di quelli da cui non si può tornare indietro. Lo sa bene Andrea, che di derby con i nerazzurri ne ha giocati cinque: "In Italia c'è Milan-Inter. Poi Roma-Lazio, Juve-Toro e... Livorno Pisa (ride n.d.r). La differenza la fanno la testa e il carattere. Non devi darle né troppa importanza né sottovalutarla. Serve l'equilibrio giusto". Quello che ha avuto lui nel gennaio del 2000, quando esordisce con gli amaranto proprio contro il Pisa: "Me lo ricordo benissimo, gran gara. Casini di qua e di là, capii subito il significato di questa partita. Io e Paolo Bravo in un angolino, nel riscaldamento, a cercare di farsi un'idea. Poi finì 1-1, un risultato comunque positivo per una squadra come la nostra, che non aveva niente da chiedere al campionato". Andrà meglio, molto meglio, nel 2001. E' il 25 marzo, il Pisa non sta andando molto bene e i tifosi sono in aperto contrasto con la società. L'Arena Garibaldi ribolle e il Livorno passa al quarto d'ora con un rigore trasformato da Protti. In campo piove di tutto, dalle sciarpe ai seggiolini, dai panini alle bottigliette. Partita sospesa, poi il gioco riprende. Rigore per il Pisa. Dal dischetto va Costanzo, che però si fa ipnotizzare da Andrea. Palla bloccata, addirittura. Tre parate da cinetica in quei 90 minuti: "Si respirava un clima diverso - ricorda Andrea - non pensavamo certo che volesse lo stadio in campo, ma sapevamo quanto sarebbe stato difficile per il Pisa giocare in un ambiente del genere. Li attaccammo subito, perché era un derby importante per noi. E per loro. Fare gol subito serviva a conquistare lo stadio. Tante volte capita di avvertire come sta andando un match. Basta uno sguardo, un cenno. Basta parlarsi. Per questo il gruppo è fondamentale". Quella partita verrà sospesa altre due volte: "Poi i miei difensori ad un certo punto urlarono al guardalinee. Gli stava piovendo un seggiolino sulla testa, si è scansato giusto in tempo, gli abbiamo salvato la vita. A quel punto l'arbitro ha deciso di mandare tutti sotto la doccia". 0-2 il risultato finale. Dieci feriti e quattro ultras arrestati.
Un anno dopo la promozione in B. All'ultima giornata, a risultato acquisito, Andrea esce e concede i minuti finali ad un debuttante che di strada poi ne farà eccome. Un giovanissimo Marco Amelia, in prestito dalla Roma: "Era un ragazzo prodigio, al quale io e Piero Spinosa (Il mister dei portieri) abbiamo sempre insegnato l'importanza del gruppo. Lui ha aspettato il suo momento e lo ha sfruttato da gran campione". Tanto che Spinelli decide di riscattarlo e di puntarci per l'anno seguente. Andrea può rimanere, ma la sua Fiorentina aveva bisogno di aiuto: "Era appena fallita e l'idea di riportare in alto la mia squadra del cuore mi elettrizzava. Dalla C2 alla A, io che da piccolo andavo in curva con mio padre. Mi sentivo livornese, ormai, ma non potevo dire di no". Così come non ha mai saputo dire di no al pallone. Un amore nato a dodici anni, dopo una brevissima carriera da Ginnasta. Si è anche allenato con Yuri Chechi nella palestra di Sorgane. Quei riflessi, poi, gli sono rimasti. Li sta insegnando ai suoi allievi, ma non perché abbia smesso con il calcio giocato. La Seconda Categoria è lì, ad un passo. Non sarà come un Livorno-Pisa. Chissà, magari non pioveranno nemmeno i seggiolini dalle tribune...