Giorno di Milan-Juventus, una partita che tantissime volte Alessandro Costacurta ha giocato in carriera. In quella difesa rossonera che era impenetrabile e che ha visto passare, al suo fianco, tantissimi campioni. E c’è chi ancora paragona all’attuale BBC bianconera, la linea con Tassotti, Costacurta, Baresi e Maldini definendola la più forte della storia: “Non so dire se la nostra difesa era la più forte, ma certamente quella che si muoveva meglio insieme – racconta Costacurta - Non sbagliavamo di un centimetro i movimenti. Da questo punto di vista penso che noi siamo stati i migliori. E anche le qualità tecniche individuali non erano male. Diciamo che ce la battiamo con la BBC della Juve di oggi e con la difesa della Germania del 1974. Ma noi avevamo quella dote: la capacità di muovere come un’armonia musicale la linea tra noi”.
Sulla vicenda Maldini-Milan: “Paolo è stato il mio migliore amico nel calcio. Arrivò tra noi ragazzi in un ritiro precampionato. Io ero il capitano di quella “Primavera” e, sinceramente, pensai che, essendo lui il figlio di Cesare, fosse privilegiato. Dopo due allenamenti lo chiamai e gli dissi di starmi vicino. Avevo capito che era un talento assoluto. Da quel momento abbiamo sempre giocato insieme. In questo momento è stata fatta una scelta con una strana tempistica. Io voglio anche mettere in conto che Paolo, gliel’ho detto, forse ha sbagliato in questi anni a non fare corsi o altro. E questo può aver spaventato i cinesi. Io a Paolo affiderei mio figlio, ma io conosco lui e il calcio italiano. Quello che voglio dire è che prima di scegliere Mirabelli potevano indicare Paolo. Lui non voleva cariche, non voleva prendere il posto di Galliani, voleva essere responsabile dell’area tecnica. Tornerà nel club appena i cinesi lo conosceranno meglio. I tempi forse non erano maturi. Un Costacurta dirigente? io oggi sento di essere un padre migliore e un marito migliore. Posso viaggiare e conoscere, ed è ciò che mi piace di più al mondo. Oggi a Sky sono in una condizione bellissima, ho raggiunto la serenità professionale e personale. Non mi arrabbio più neanche nel traffico… L’unica cosa che mi potrebbe turbare sarebbe la proposta di allenare una squadra negli Usa. E’ un mondo, non solo sportivo, che mi affascina e mi attira”.
Sul Milan di Montella: “Mi sembra che, dopo un tempo convulso, si sia trovato un assetto ordinato e un clima sereno. Gioca un calcio che, per quanto posso ricordare, piacerebbe al vecchio presidente. Montella, con le sue scelte, è in sintonia anche con San Siro. Farà bene e avrà credito. Mi pare che cerchi una qualità tecnica che è uno dei codici del dna rossonero”.
E poi via di ricordi, com’è iniziata la carriera di Costacurta? “Io ho cominciato a giocare perché avevo un fratello più grande che mi portava con sé quando andava al campo. Io lo aspettavo seduto, le spalle appoggiate a un muro. Quando mancava qualcuno lui mi faceva un fischio e io mi alzavo a molla. Poi entrai in una squadra dal nome profetico, si chiamava la “Asso”. Ci entrai perché era comodo per mia mamma che accompagnava al campo mio fratello grande, sempre lui, e non sapeva dove lasciarmi. La mia prima maglia? Granata. La “Asso” era una succursale del Torino, una squadra satellite. Diventò rossonera perché giocammo una partita contro il Milan e io, che ero stato inopinatamente schierato a centrocampo, segnai due gol. All’inizio chiesi di giocare da libero perché pensavo che in quel ruolo potevi fare quello che ti pareva. Poi l’allenatore mi disse che non avevo capito nulla e che mi dovevo mettere tranquillo davanti al portiere e non muovermi. Mio padre morì la sera prima della finale del torneo Berretti che dovevamo giocare con la Lazio. Non ha visto tutto quello che mi è accaduto dopo. Penso sarebbe stato orgoglioso di me. Mia mamma mi ha seguito fino alla fine degli anni novanta. Mi ha sempre detto solo una cosa: ‘Quando fai un fallo, anche brutto, chiedi sempre scusa’. E io l’ho sempre fatto, anche quando quello che lo subito se lo meritava”.
E sugli allenatori avuti in carriera: “Il primo si chiamava Fausto Braga, parlava solo dialetto milanese, una lingua che mi ha insegnato. Fu lui che mi fece capire il valore dell’allenamento. Poi maturai con Fabio Capello che allenava la Berretti. Lui curava molto la formazione individuale, la crescita tecnica del singolo. Mi ricordo, in quegli anni, che nello spogliatoio, durante l’intervallo di un derby, entrò urlando e prese a calci le nostre borse, shampoo e saponi che volavano dappertutto. Quella aggressività l’ha accompagnato sempre. In prima squadra Liedholm, che era il contrario di Capello. Sempre tranquillo, sereno, con una grande capacità di coinvolgere il prossimo. Con un’eccezione. Non sopportava le palle buttate via alla “viva il parroco”. All’inizio non gli piacevo tanto. Non ero del livello tecnico che lui gradiva. Sacchi guardava meno alla tecnica, più alla tattica e alla disciplina in campo. Il suo mantra era la precisione dei movimenti. Ma le devo dire che è stato un grande insegnante di calcio. Ci insegnava, nel 1987, la disposizione dei piedi e ci faceva capire come la giusta posizione consentisse il tempo corretto di anticipo sull’avversario. Delle volte, in piena notte, lo sentivamo che urlava, nel sonno, le stesse disposizioni che ci dava in campo. E, mi creda, sentir gridare “Sali o Accorcia” alle tre di notte fa un certo effetto. Zaccheroni aveva una totale fiducia in noi. Con Maldini e con me lui condivideva tutte le decisioni. E poi, tatticamente, è stato l’allenatore capace di creare, con i movimenti di ogni linea, il maggior numero di giocate possibili per ciascuno di noi. Terim, invece, arrivò con la presunzione di un imperatore. Pensava davvero di essere più importante di ciascuno di noi e della società. E Ancelotti? Con Carlo avevamo giocato a lungo insieme. Paolo ed io all’inizio gli davamo del lei e lo chiamavamo mister, anche se lui non voleva”.
L’attaccante più pericoloso? “Ronaldo, il brasiliano. Ti faceva sempre fesso. Ho giocato contro Maradona, che era fortissimo. Ma la notte prima di incontrare Ronaldo era difficile dormire. Il centravanti più cattivo? Aldo Serena. Nella vita un ragazzo meraviglioso ma in campo era insopportabile. Si buttava a terra, provocava. Un altro tosto era Vieri, non uscivi dal campo con la stessa faccia con cui eri entrato. I miei eredi? Romagnoli e Rugani Il bianconero forse è meno forte ma pare più determinato. Sono il più vecchio marcatore in Serie A l’ultimo gol l’ho fatto a 41 anni, ma Totti potrebbe superarmi”.