King Antonio, re della Premier. Conte ha trionfato con il Chelsea al primo colpo e adesso un futuro lontano da Stamford Bridge sembra un'ipotesi molto remota, nonostante le voci. "Il mio obiettivo è mettere le basi per continuare a vincere" - si legge nelle pagine de La Repubblica - "Questo è già un grande club, però ha alzato una Coppa Campioni e poi è uscito al primo turno, ha vinto una Premier e poi è arrivato decimo. Deve trovare stabilità al top".
Approccio londinese: "Non tutta rose e fiori. L’approdo sì, il percorso no. Con mia moglie Elisabetta a gennaio abbiamo deciso che Vittoria avrebbe finito la scuola a Torino, anche se era già iscritta a Londra. Ma se rimango, verranno a stare con me. Per nostra figlia sarà una grande opportunità vivere in un Paese straniero. Di sicuro un altro anno da solo non lo faccio. Sconfitte di settembre con Liverpool e Arsenal? La squadra andava in campo e io non sapevo che cosa sarebbe successo: la sensazione peggiore. La sconfitta per me dura due giorni, la vittoria un’ora. Ho pensato: se devo morire, muoio con la mia idea. Il lavoro meticoloso. Le mie convinzioni. Non sono per i compromessi. Stavo dando tutto e non mi sentivo in discussione. Ma non potevo snaturarmi. La squadra mi ha rispettato: per me parlava il passato, anche da calciatore".
I segreti di "King" Conte: "L’unità d’intenti nel volere cambiare: il Chelsea veniva da un decimo posto. I ragazzi hanno accettato metodi nuovi: gli allenamenti intensissimi, la dieta, la videonalisi, l’importanza dei dettagli. È iniziata la scalata. I cori “Antoniooo” e “Antonio doesitbetter”? Se n’è accorto Bertelli, il preparatore. Mi sono emozionato: avevo conquistato Stamford Bridge. La passione mi muove in tutto. L’esultanza sfrenata è spontanea: quando abbraccio i giocatori, all’inizio erano un po’ rigidi, e quando mi tuffo tra i tifosi, vicino alla panchina. Quello inglese era un calcio che avrei voluto vivere. Invidiavo gli stadi pieni e l’atmosfera. Ora che l’ho potuta respirare, mi sento più completo. Ma non c’è meno pressione: in un grande club devi vincere sempre".
Differenze: "La cultura sportiva. Ho visto il Middlesbrough retrocedere tra gli applausi del suo pubblico. Ti applaudono gli avversari, i fan si mescolano. E squalificheranno i simulatori: chi si tuffa non sarà mai un idolo". Consigli alla serie A: "I play-off non mi convincono. Giocare nelle festività di Natale, a parte il problema per noi cattolici, non è stato male. Lo spot per la serie A è l’Atalanta di Gasperini: società solida, allenatore preparato, giovani forti". Rispetto delle tradizioni: "Mi sento fortificato. Sul lavoro resto intransigente. Ma sono più flessibile. Ho imparato a chiudere gli occhi: per esempio quando vedevo mangiare uova strapazzate prima della partita. Di un Paese devi accettare le tradizioni. E parlarne la lingua, per rispetto".
Inglese? C'era già una buona base: "Due settimane di corso intensivo. Avevo basi scolastiche, è stata una montagna da scalare. Con motivazioni forti, nulla è insormontabile. Però non c’è lingua che tenga, se non sai trasmettere: tanti professori universitari non sono bravi insegnanti". Obiettivo: "La mia priorità è migliorare sempre. Significa stabilità al top. Nessuno credeva in noi, contro il City di Guardiola, lo United di Mourinho, il Liverpool di Klopp, l’Arsenal di Wenger, il Tottenham di Pochettino. Ogni anno sei squadre vogliono la Premier. E la Champions dipende anche dai sorteggi".
Futuro: i tifosi interisti lo chiamano... "L’entusiasmo degli italiani mi inorgoglisce. Lo share della Premier in tv è salito anche per il Chelsea, al di là di simpatie o antipatie per me. Le speculazioni sul mio futuro sono normali, pretendo concentrazione sul campo. Italia? Ne sono innamorato. La sento nel cuore in ogni cosa che faccio, anche se, per fare venire mio padre, ho dovuto vincere la Premier: la sua promessa era che sarebbe venuto a Londra con mia madre. In 10 anni di panchina ho scalato una montagna e durante la scalata hanno provato a buttarmi giù. Non ci sono riusciti".