L'esperienza in Serie A con le maglie di Lazio e Udinese, poi il ritorno in Argentina e l'addio al calcio giocato. Lucas Castroman, anch'egli in quarantena in virtù dell'emergenza-Coronavirus, è tornato a parlare ai nostri microfoni. Ospite di #CasaDiMarzio, in diretta su Instagram questo pomeriggio, l'ex centrocampista - ancora legatissimo ai ricordi con la maglia biancoceleste - ha raccontato alcuni aneddoti della sua carriera e il suo rapporto con il mondo del pallone dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.
"In Argentina ci siamo chiusi in casa due settimane prima perché abbiamo visto quello che stava succedendo in Italia e in Spagna. La gente però non ha ancora capito la gravità della cosa, vedo troppa gente in giro, mi verrebbe voglia di urlare loro di tornare a casa. Ho sangue italiano, ho anche la cittadinanza. Vi rialzerete presto perché siete un popolo forte"
"Ora ho delle attività qui in Argentina, le porto avanti da anni. Poi lavoro con mio padre, lo aiuto a vendere santini al pubblico, lavoro anche nel suo parcheggio contando le macchine che entrano ed escono. Insomma, lavori umili, non sono una persona attaccata ai soldi. In futuro potrei rientrare nel calcio, mi piacerebbe diventare presidente del Velez. Ma non ora"
"ALCUNE SCENE MI HANNO NAUSEATO: IL CALCIO NON LO SEGUO PIU'"
"Non seguo più il calcio, ci sono cose che viste da dentro mi hanno fatto allontanare. Per esempio, durante una votazione per decidere il presidente del Velez, mancava un voto per l’assegnazione della carica. Alla fine però venne dichiarato il pareggio tra le parti, una cosa impossibile perché i votanti erano 73. Un evento che ha fatto molto discutere in Argentina"
"Ho una scuola calcio in Argentina, ma non giochiamo in alcuna categoria. La mentalità di qui è che se non si diventa calciatori si è fatto poco nella vita, io ai ragazzi voglio insegnare il contrario: qualsiasi lavoro faranno, dovranno impegnarsi al massimo per fare bene"
IL GOL NEL DERBY DI ROMA
"Il gol nel derby con la Lazio ha rappresentato un’emozione indescrivibile. Roma mi è entrata dentro, mi ricordo ancora qualcosa di romano ‘che stai a fa’?’, ‘che stai a di’?’. Perché me ne sono andato? Principalmente per Mancini, non andavamo d’accordo. Durante un ritiro mi lasciò a Roma con altri due o tre giocatori. Quando gli servivo però mi ha richiamato. Poco prima di una partita ero così arrabbiato che gli ho tirato la maglietta addosso e ci siamo detti un po’ di tutto. Poi sono andato nello spogliatoio a piangere: lì ho scelto di andare via"