“L’accostamento fra filosofia e pallone è tanto affascinante quanto inevitabile. Il calcio è molto più di un semplice sport, e come tale va trattato. Noi ci divertiamo così: a far sporcare le mani – e i piedi – alla filosofia, facendola parlare di calcio. Con semplicità, rispetto e un pizzico d’ironia. Perché, come dice Mourinho, “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”
Enigmatico, risoluto, amato ma anche odiato. Non è facile parlare di Massimiliano Allegri, un tecnico che nonostante l’età ha già vinto molto, e sta scrivendo pagine importanti del calcio italiano. Come non è facile dire qualcosa di nuovo della sua Juventus, che dopo aver praticamente regalato un girone ora sta dominando il campionato e veleggia verso il record del quinto scudetto consecutivo. Un successo – quello bianconero e quello di Allegri – che ha radici che vanno molto lontano. Precisamente nella Francia del 1600, dove viveva Blaise Pascal. Magari Allegri non lo sa, ma il suo modo di lavorare e di essere (specialmente quest’anno) ricalca molto quello del filosofo di Clermont. A partire dalla frase più famosa di Pascal, “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”, che non è solo un aforisma da Baci Perugina, ma vuol dire ben altro. Da grande uomo di scienza qual è, Pascal sa che ciò che succede nella vita – e perciò sul campo - non può essere spiegato solo con la matematica, mentre le intuizioni vanno dritte al cuore delle cose. In parole povere, è la differenza fra esprit de geometrie ed esprit de finesse. Una distinzione che spesso fa anche Allegri, che è uno stratega soprattutto in campo, quando si affida all’intuizione per leggere le partite e farle svoltare. Come per Pascal, uno dei motivi del successo di Allegri è che sa perfettamente qual è lo spazio dei numeri, e che in quello spazio devono rimanere confinati. Perché il calcio è uno sport fatto anche di motivazioni, fiducia e colpi di genio. Vi ricordate il cambio di Zaza contro il Napoli? Ecco: poco esprit de geometrie e molta finesse. Per il tecnico bianconero, il modello del ragionamento matematico non può spiegare il gioco, come lui disse un giorno: “Lo vogliono fare passare per scienza, invece non c'è un cavolo di niente di scientifico. È uno spettacolo, e lo spettacolo lo fanno gli artisti”. E lui in questo cerca di essere abbastanza artista, come il suo amico Pascal, non considerando il gioco come un semplice divertissement da cui evadere, ma qualcosa di molto serio. E la Scommessa? Pascal parlava dell’esistenza di Dio, per Allegri è un po’ diverso: lui aveva semplicemente scommesso – dopo l’andata con il Sassuolo – che nel giro di qualche mese la Juventus sarebbe ritornata davanti. E in qualsiasi modo dovesse finire, ha già vinto. E proprio contro il Sassuolo la Juventus ha toccato il punto più basso del suo campionato. E da lì ha cominciato a risalire. Lo stesso Zaza ha detto che quella sera si sono guardati tutti in faccia e i senatori hanno preso definitivamente il timone della Juventus. Ma forse c’è dell’altro: i bianconeri avevano scoperto una volta per tutte di avere un nemico. Lo spieghiamo con le parole di Sartre. Il francese è stato qualcosa di più di un semplice appassionato: giocava a calcio per strada fin da bambino, e amava ripetere che era stata la sua palestra di democrazia. Nella sua Critica della Ragion Dialettica Sartre parla dell’importanza della presenza dell’avversario. Per Sartre il gruppo non si può formare senza la presenza del “nemico”, di un “altro” che diventa quindi fondamentale per la vita della squadra. Per la Juventus questo altro era sia interno che esterno alla squadra stessa: fra l’appagamento dei quattro anni precedenti e i vari Napoli, Fiorentina e Inter che stavano prendendo il comando del campionato, i bianconeri avevano molti avversari. Ma non è finita: il gruppo-squadra diventa pienamente organizzato e funzionale quando c’è proprio un nemico che lo fronteggia, che battaglia con esso. Perciò, la squadra ha libertà d’azione, ma tutto diventa funzionale ad un unico obiettivo, un solo fine da perseguire: la vittoria sull’avversario. Ed è così che la Juventus di Allegri ha definito la propria identità. L’altro non è un limite, ma aiuta a definire sempre più la propria identità. E questo è un altro merito dell’allenatore. Di un Allegri che andrebbe a genio persino ad un carattere scontroso come quello di Nietzsche. Perché il livornese è stato capace – nel corso del campionato fino ad arrivare al filotto – di coniugare le due anime della Juventus: quella apollinea e quella dionisiaca. Sono due aspetti della stessa medaglia che Nietzsche ha introdotto (parlando della tragedia) per indicare da un lato la componente serena, armonica e luminosa dello spirito, e in opposizione la parte passionale, vitale e quasi oscura, rappresentata da Dioniso. Da un lato l’apollineo juventino è rappresentato dai senatori storici, quelli che hanno dentro il dna bianconero: Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini solo per citarne alcuni. Quelli rocciosi, sicuri, fieri, che sai che non tradiranno mai. Dall’altro lato però c’è il dionisiaco, esemplificato dai vari Dybala, Mandzukic, Zaza e soprattutto Pogba. I nuovi innesti che non si sapeva bene che posto avrebbero preso, che magari all’inizio hanno un po’ deluso ma ora sono sul pezzo esattamente come gli altri. E cosa c’è di più dionisiaco di Pogba? Di un giocatore che trasuda passione e presenza scenica nel gioco del calcio ma ha un non so che di grezzo e di “oscuro” con cui convive? Ecco, l’abilità di Allegri-Pascal-Nietzsche è aver trovato la chiave di volta di questa convivenza, cosa non affatto facile. E in una cosa il tecnico juventino differisce dal filosofo tedesco, perché per Nietzsche l’apollineo e il dionisiaco coesistono nella tragedia, mentre la Juventus di Allegri tragedia non è. Anzi… A cura di Luca MastrorilliData: 12/04/2016 -