L’accostamento fra filosofia e pallone è tanto affascinante quanto inevitabile. Il calcio è molto più di un semplice sport, e come tale va trattato. Noi ci divertiamo così: a far sporcare le mani – e i piedi – alla filosofia, facendola parlare di calcio. Con semplicità, rispetto e un pizzico d’ironia. Perché, come dice Mourinho, “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”
I miracoli accadono? Ogni tanto, sembra proprio di sì. Chiedere in Inghilterra, dove in questi mesi una piccola squadra di provincia chiamata Leicester sta cambiando la storia del calcio nella terra della Regina. Sono stati scritti fiumi di inchiostro su questa impresa, ma la calciosofia può dire qualcosa di nuovo. Innanzitutto, si può tentare di dare una risposta alla domanda che tutti si fanno: come è possibile questa cavalcata? Beh, è il bello del calcio. Uno sport nel quale – per le sue peculiarità che lo rendono estremamente unico – gli eventi eccezionali in stile Davide-Golia sono molto più frequenti che negli altri giochi. La prima parola chiave che ha portato il Leicester in alto è semplicità. Attenzione, non è un sinonimo di facilità: la semplicità è un’altra cosa. Guglielmo d’Occam è nato a più di 100 chilometri da Leicester – e soprattutto quasi 800 anni fa -, ma aveva già capito tutto. Il francescano pensava che la realtà fosse semplice, e che l’uomo la complicasse inutilmente. Sia nei rapporti, che nella vita quotidiana, le persone complicano le cose opprimendosi con problematiche in fin dei conti inutili. Allora Guglielmo promuove la tesi per cui passerà alla storia: il rasoio di Occam. Nella realtà ci vuole una visione chiara e semplice delle cose, lasciando stare gli enti inutili. Non sappiamo se Ranieri abbia letto qualcosa di Occam, ma la costruzione del suo Leicester si ispira perfettamente al principio del rasoio. Il Leicester è il ritratto della semplicità calcistica: via i fronzoli, rimane solo ciò che serve. Un pratico 4-4-2, un attaccante forte nel gioco aereo, uno piccolo di fianco, poco spettacolo e tanta corsa. Serve altro per vincere? Il calcio di Ranieri non ha orpelli: non esiste il possesso palla, e appena si riacquista la sfera si parte in contropiede con Mahrez. Semplice, no? Occam sarebbe orgoglioso di scambiare due paroline con Ranieri. E giuriamo che non sarebbe l’unico a volerlo fare, perché nell’atteggiamento l’ex allenatore di Chelsea e Inter ricorda un altro grandissimo filosofo: Socrate. D’altronde Raineri era soprannominato “The Tinkerman” (quello che non fa sul serio), e anche Socrate – a dirla tutta - agli inizi era un po’ preso in giro. Quel modo di fare strano – e anche un aspetto fisico non bellissimo, dirà Nietzsche - non l’ha certo aiutato, e poi sappiamo che fine ha fatto. Ranieri ovviamente non berrà nessun calice di cicuta, ma possiamo dire con sicurezza che la sua mentalità è molto socratica. Cosa faceva di concreto il filosofo greco? Parlava tutto il giorno con gli Ateniesi. Non scriveva libri di teorie, ma cercava il dialogo. Così come Ranieri, che appena arrivato ha cercato di stabilire un rapporto coi suoi giocatori, ritrattando le sue posizioni e migliorandole per il bene della squadra. Fanno sorridere gli episodi che racconta l’allenatore sui giorni di riposo chiesti dai giocatori: se non è dialogo questo… Un altro tratto distintivo di Socrate è che diceva spesso che sapeva “di non sapere”. Per Ranieri è la stessa cosa: sa benissimo di non essere il più bravo e preparato tecnico della Premier, ma questo non vuol dire che in questo momento non può essere il migliore. Anche perché fare finta di sapere quello che non si sa e avventurarsi in scelte strane è molto rischioso. D’altronde, cosa può insegnare di nuovo un allenatore ad un giocatore professionista? Il suo ruolo deve essere simile a quello di Socrate: aiutare a partorire. Come il filosofo greco aveva la missione di aiutare a tirare fuori il meglio dai suoi concittadini, così Ranieri sta tirando fuori – non a caso il significato di educare – cose inaspettate dai giocatori del Leicester. E si riconosce solo un merito: “aver costruito la squadra attorno alle caratteristiche dei miei giocatori”. Come un perfetto allievo di Socrate. Ma uno merita spazio in particolare: Nietzsche direbbe di lui che è un superuomo (almeno nel rettangolo verde). Una figura praticamente leggendaria che per la sua peculiarità si eleva oltre la media comune. È ovviamente Jamie Vardy, che ha riscritto più e più volte la sua storia, arrivando dove nessuno si sarebbe mai immaginato. Il superuomo afferma se stesso a discapito degli altri: chiedere agli avversari – e a Van Nistelrooy - per conferma. Il concetto di Nietzsche è di quanto più lontano ci possa essere dalla tradizione, e la storia di Vardy – con quello che ha dovuto passare – di tradizionale ha ben poco. E chissà se Nietzsche sarebbe stato tifoso dell’inglese: noi ci giureremmo. A cura di Luca Mastrorilli