Le lacrime di Fabio Pisacane nel post-gara di Cagliari-Atalanta hanno fatto il giro del mondo e hanno portato alla ribalta internazionale la sua storia. "Faffolino" è diventato un simbolo e a distanza di due settimane tutti parlano ancora di lui, anche dall'altra parte del globo. La sua storia parte da Napoli, dai Quartieri Spagnoli:
"Con il pallone iniziai da piccolissimo, la prima squadra fu quella del mio quartiere, a Napoli" - si legge nelle pagine di Tuttosport - "Si chiamava la Celeste: aveva la prima maglia come l’Argentina, righe verticali bianche e azzurre, mentre la seconda era oroblù. Giocavo di punta: era il 1996, avevo dieci anni e impazzivo per Batistuta. Ero andato in fissa per lui al punto che, quando segnavo, correvo a esultare alla bandierina. Cambiai squadra e da attaccante mi ritrovai difensore centrale, vedi tu i casi della vita, e dopo un anno e mezzo finii nelle giovanili del Genoa: mi acquistò Claudio Onofri. Dopo un mese o poco più di ritiro coi Giovanissimi, una mattina mi svegliai a Sampierdarena, dove dormivano i giovani di Genoa e Samp, tutti insieme. Provai a togliermi il pigiama ma le braccia non ne volevano sapere di rispondere".
Andrea, il papà di Fabio, non lo lasciò solo un secondo: "Venni visitato dai medici rossoblù. Non mi reggevo in piedi, barcollavo e, sensazione ancor più spiacevole, nessuno aveva la minima idea di che cosa potesse essere. Dopo un prelievo di midollo osseo mi diagnosticarono la sindrome di Guillain-Barrè, una malattia assai rara che si manifesta con una progressiva paralisi degli arti. Finii in coma e ci rimasi 20 giorni, quindi passai 3 mesi in ospedale. Questa malattia può attaccare tutto, anche i nervi ottici e farti diventare cieco: su di me si accanì ai polmoni. Al calcio non pensavo più. Pensavo solo a sopravvivere. Nella battaglia contro il male mi ha aiutato papà: una roccia. Quando mi stavano intubando per portarmi in rianimazione mi disse piangendo: 'Adesso tocca a te. O da qui tu esci sulle tue gambe, come ci sei entrato, oppure di qui non esce nessuno dei due, né tu né io' ".
Fu ancora Onofri a dargli la seconda opportunità: "Fortunatamente riuscii a superare la malattia e iniziai la riabilitazione. Un giorno, 8 lunghi mesi dopo, chiamai Onofri e gli dissi: 'Sono pronto, me la date una chance?'. Fui aggregato ai ragazzi del 1984 per un torneo in Germania. Lo disputai e vinsi il trofeo come miglior giocatore. A due anni dal ritorno in campo feci il debutto in B, nel Genoa, con Cosmi in panchina e El Principe Milito in attacco". Una storia fantastica, che non è passata inosservata, come il tatuaggio del Boca: "Quello che mi sta capitando da lunedì sera è difficile da spiegare. Io da bambino ero sicuro che avrei fatto il calciatore professionista, me lo sentivo. E pensavo: 'Non posso diventare tifoso di una squadra italiana. Non posso perché sennò come farò quando dovrò affrontarla?'. Impazzivo per Batigol, come vi ho detto, e, come ogni buon napoletano, crescevo fedele al culto di Maradona. Scelsi il Boca Juniors, senza esitare".
Quel tatuaggio gli ha portato anche un gradito regalo: "A casa ho la numero 10 di Carlitos Tevez dell’anno scorso, la tengo come una reliquia: me l’ha regalata una coppia di amici, Renato e Damiana. Lui è di Cagliari, lei di Tandìl, provincia di Buenos Aires. L’anno scorso segnai al Trapani ed esultai con il braccio sinistro in alto, indicando la tribuna dove stava mia moglie. Damiana, che è bostera al 100%, vide lo scudetto del Boca tatuato sul mio avambraccio e impazzì di gioia, facendo di tutto per conoscermi. No, alla Bombonera non sono ancora stato: è un’esperienza che voglio fare con mio figlio Andrea di un anno e mezzo e con quello che sta per nascere. Sarei felice che diventassero Xeneizes come me. Che cosa è il Boca? Il club mas grande del mundo, el rey de copas, un sentimiento que no puedo parar, un sentimento che non posso fermare. Riquelme o Palermo? El Dièz, senza dubbio: è pure nato il giorno di mia moglie!".
Amore per il Boca, ma anche per Cagliari e la sua Curva Nord, definita da Pisacane la migliore del mondo: "Non smetterò mai di ringraziare società, mister, compagni e tifosi per l’affetto e per aver contribuito a farmi realizzare il sogno che cullavo fin da bambino, esordire in Serie A. Ai miei contatti argentini lo sto spiegando da qualche giorno: la Curva Nord è calda, caldissima, durante il match ti riversa addosso tonnellate d’amore. Non esiste nel mondo un altro tifo così. Anzi si, ma sta a 16 ore di aereo: è la Doce, il cuore della Bombonera".