In Argentina comincia più o meno sempre così: una cancha di terra battuta, un signorotto con un bicchiere di Fernet & Cola in mano che organizza le partite, e tanti bambini che condividono lo stesso sogno: indossare la "diez" albiceleste, provando a emulare Diego Armando Maradona. Succede così ovunque. Nella capitale, ma anche altrove: a Rosario per esempio. In zona Las Heras c'è uno di quei tipi che non vede l'ora di smontare dal lavoro, mischiare il Fernet con la Coca Cola, comprare la carne per l'asado e vedere i "suoi" ragazzini giocare nel potrero. Il suo nome è Salvador Aparicio, che, con tanti sacrifici, prova a tener su il Grandoli, una piccola squadra di quartiere. In una stradina non molto distante da quel campetto abita la famiglia Messi: il capofamiglia è papa Jorge, poi c'è mamma Celja e poi ci sono i tre figli, Rodrigo, Matias, e il più piccolo di tutti, Lionel.
Lionel è quello più timido. Poche, pochissime parole, tanti, invece, i pianti. Gioca spesso a carte con la nonna, ma odia perdere. E' molto piccolo, mingherlino e mangia praticamente solo il prosciutto e la cotoletta, il suo piatto preferito. Fino ai 5 anni di calcio giocato nemmeno a parlarne, anche se la sorpresa è dietro l'angolo: il Grandoli è in numero dispari al momento di una partitella. Sugli "spalti" del potrero c'è qualche genitore ma un solo bambino, Lionel, che è il più piccolo di tutti. Aparicio prova a chiedere alla mamma di farlo entrare in campo, ma è un tentativo senza successo. Viene così intavolata una sorta di trattativa estiva di mercato, con la nonna di Messi a far da intermediario, convincendo la mamma e spingendo Leo in campo. L'impatto tra Messi e il pallone non è dei migliori. E' effettivamente una pulce in confronto agli altri, sembra addirittura non capire bene il motivo per cui si trovi a correre dietro a quel pallone con altri bambini più grossi di lui. Poi, all'improvviso, si scuote, tocca il primo pallone di sinistro e comincia a correre, salta il primo bambino, poi il secondo, il terzo. E via. Senza fermarsi mai.
Da quel giorno sono passati praticamente 25 anni e la realtà oggi non é poi così diversa. Una storia incredibile quella di uno dei giocatori più forti di sempre, resa tanto bella quanto complicata dalle difficoltà di sviluppo adolescenziale, dovute alla mancanza di uno degli ormoni della crescita. Sono anni difficili questi a casa Messi con papa Jorge costretto a grandi sacrifici per pagare le cure, in un velo di scetticismo generale tra i top club di Argentina come il River Plate, non intenzionato a pagare le cure. E poi voilà, quando meno te l'aspetti arriva la chance della vita: il Barcellona e la sua Masia. Ci è voluto quasi un mesetto nel tentare di convincere il Barcellona a tesserarlo. Un nuovo millennio sullo sfondo, un mini extraterrestre appena sbarcato in Catalogna, diventata poi la terra promessa di tutta la famiglia Messi. Arriva la firma storica, siglata su un fazzoletto gelosamente custodito da Horacio Gaggioli, uno degli agenti che ha portato la pulga a Barcellona. In blaugrana si prende la maglia numero 15, poi la 20 e infine la 10, guadagnata a suon di serpentine, assist, e goal. Il piccolo nanetto brucia le tappe e si ritrova al fianco di gente come Eto'o, Deco e Ronaldinho. Prima debutto in amichevole con il Porto a 16 anni al Do Dragao, poi il primo gol all'Albacete qualche mese dopo in Liga. Un lob su assist di Ronaldinho con il Camp Nou che gli riserva il primo applauso di una serie interminabile di standing ovations. Sulle spalle la 30, numero che da oggi è pure la sua età.
Da quel giorno è cominciata anni una serie interminabile di successi e di eventi, in campo e fuori: l'amicizia con Xavi e Iniesta prima, quella con Suarez e Neymar poi. Le lezioni di Guardiola, il legame con Vilanova, il rapporto con Luis Enrique e la straordinaria rivalità con Cristiano Ronaldo: due alieni sullo stesso pianeta con due poteri e responsabilità senza eguali nel mondo. A proposito di responsabilità, quella di Messi si chiama mondiale. Un popolo intero sulle spalle, con la pressione di dover inseguire il più grande di tutti. Un paragone scomodo che, a volte, ha fatto abbassare le ali a Messi. Ci vorrebbe un titolo con la Selecciòn, magari da conquistare in Russia per dimenticare la Germania e il mondiale del 2014. Un campione vero, dentro e fuori: è ambasciatore Unicef, ha creato la sua fondazione per i bimbi più bisognosi, ed è testimonial per una campagna per la lotta al cancro giovanile. Intanto dall'arancio del Grandoli ai fiori d'arancio con la sua Antonella che sposerà - nemmeno a dirlo - il prossimo 30 giugno. Il numero 30 fedele compagno di vita, oggi anche di più. Tanti auguri Leo, una vita da 30...e lode!