Margine Coperta e poi Bergamo
Fiesole, Laurenziana e poi Margine Coperta, laddove sono passati Guarente, Pazzini e non solo: “Vincevamo sempre 12 o 13 a 0, segnai quasi 70 gol in un anno. Dopo feci un provino con la Juventus. Mi volevano anche Genoa, Udinese e Lazio. La società però era affiliata con l’Atalanta e quindi mi mandarono lì. Dicono che non sia arrivato perché non avevo la testa. Sinceramente non ho ancora capito cosa volesse dire”.
LEGGI ANCHE - VIAGGIO NEL SETTORE GIOVANILE DELL'ATALANTA
In campo mister Polistina lo fa palleggiare per ore con la pallina da tennis, insegnandogli ad usare anche il destro. Fra i campi di Zingonia Elia incrocia Caldara e Baselli. Si allena vicino alla prima squadra, sente le imprecazioni di Colantuono e Tiribocchi. Fuori, però, è un problema: “Il primo giorno lo ricordo bene. Ci hanno fatto parlare con una psicologa. Ci disse che l’Atalanta era un’azienda e che noi eravamo un patrimonio. Se avessimo fruttato, bene. Altrimenti ci avrebbero mandato via”.
Arriva perfino il primo contratto con la Puma: “Duemila euro l’anno. Svaligiavo i negozi, ho rifatto il guardaroba ai miei amici”. Arriva, anche, il procuratore: “Promettono tante cose. Ti portano a cena nei ristoranti stellati di Milano, ti fanno arrivare l’ultimo modello delle Nike, ti parlano del contratto. Quando sono andato via, non mi ha nemmeno scritto. Si vede che aveva già cancellato il mio numero”.
E poi c’è la mancanza di casa con cui fare i conti, con i genitori rimasti a Firenze: “Dopo tre settimane era insostenibile. Segnavo sul calendario i giorni che mancavano. E’ stato un trauma, a 16 anni chiesi alla mamma di poter dormire con lei. Ti credono una quercia secolare già piantata e invece sei solo un ramoscello che deve ancora crescere. Giocavo una partita bene e dieci male. Non perché non avessi la testa, ma perché sentivo la pressione. Le partite le giocavo prima. Quando entravo in campo mi sentivo vuoto, morto”.
Certo, le pazzie non sono mancate: “Una volta mi calai dalla finestra del secondo piano con una fune per andare a ballare. Tornammo tutti alticci e ci beccarono subito. Un giorno saltammo scuola e il tutor se ne accorse. Eravamo dentro l’Abercrombie a Milano quando ci chiamarono. Ci sequestrarono play e cellulari”.
Continua a pagina 3