Sul fatto che l’Armani più conosciuto al mondo sia un certo stilista di nome Giorgio non c’è alcun dubbio. Tranne in Argentina. Lì, sulla bocca di tutti c’è il nome di un altro Armani, Franco detto ‘el Chili’, di origine italiana e precisamente toscana ma nemmeno lontanamente parente dell’Armani più famoso. Lui di mestiere fa il portiere ma non per scelta. O almeno, tutto iniziò forzatamente quando il fratello, Leandro, ex giocatore del Newell’s e di 3 anni più vecchio, in casa da bambini lo costringeva a giocare in porta. La legge del più forte: chi ha un fratello, sa cosa vuol dire. Trascorrevano le giornate col pallone col garage di casa Armani a mo’ di porta visto che il portone di casa era stato rotto proprio da una pallonata.
Da lì è iniziata la carriera di Franco Armani, che successivamente da i pali non si è più mosso. Fino a stasera, con l’esordio con l’Argentina contro la Nigeria a 32 anni suonati. Si è messo in mostra grazie soprattutto ad una parata decisiva su Ighalo all’83’ sull’1-1 e, acquisita la qualificazione, è diventato idolo incontrastato per i suoi connazionali. Per arrivare a questo punto però Franco ne ha dovuta far di strada, nonostante un rapporto di sincera amicizia con Sampaoli visto che entrambi sono nati a Casilda, cittadina di 40 mila abitanti in provincia di Santa Fe. Pensate che Sampaoli fu anche allenatore del fratello Leandro e proprio l’attuale ct dell’Argentina fece esordire quest’ultimo in prima squadra ai tempi dell’Aprendices Casildenses.
Ad inizio carriera per Franco un traguardo come la Nazionale al fianco di Messi e compagni era pressoché inimmaginabile. Nei primi tempi da professionista al Ferro Carril Oeste giocava poco e per pochi soldi, tanto che viveva nella pensione della squadra ed era costretto a viaggiare con altri 3 compagni per dividere le spese. Addirittura al suo primo anno percepì solamente il 10% dello stipendio pattuito. La musica però cambiò qualche tempo più tardi quando, a 22 anni, divenne titolare, firmò un contratto migliore, andò a vivere in un appartamento proprio e si comprò la sua prima auto: una Ford Fiesta. Col successivo trasferimento al Deportivo Merlo in National B (la Serie B argentina) la sua carriera prese quota e nel 2008 il suo allenatore De la Riva gli disse: “Vedrai, diventerai il portiere della Selección”. E così è stato… 10 anni dopo.
Ma è in Colombia dove si è affermata nel vero senso della parola la leggenda di Armani e dove ha vissuto 7 anni resi indimenticabili da 13 trofei (record) con tanto di Copa Libertadores con l’Atletico Nacional. Le prestazioni al Deportivo Merlo convinsero infatti nel 2010 la squadra colombiana ad investire su di lui. Lì è diventato un eroe anzi, “il più grande di tutti”, frase scritta a caratteri cubitali sulle gradinate dello stadio Atanasio Girardot. Tuttavia all’inizio non giocava praticamente mai. “Profe, me ne torno a casa” sussurrò Armani all’orecchio di Juan Carlo Osorio, oggi ct del Messico e ai tempi allenatore dell’Atletico Nacional.
Il classe ’86 stava per tornare al Deportivo Merlo quando si ruppe il crociato, impossibilitando così il ritorno al suo ex club. Cadde quasi in depressione. Non aveva nemmeno la forza di andare dai dottori. Trovava scuse in continuazione per recarsi da loro al pomeriggio piuttosto che al mattino così da poter dormire e quando arrivava dai dottori, puntualmente si addormentava sul lettino. Fino a quando incontrò una sensitiva di Medellin che, a suo dire, era in grado di mettere in contatto le persone con gli angeli: “Mi parlò con la voce di mia nonna mancata poco tempo prima e mi disse: ‘Franco il successo sta per arrivare, a 28/29 anni troverai gloria’”.
Che crediate o meno a questo di tipo di incantesimi, iniziò la rinascita che lo condusse poi, a 29 anni, alla vittoria della Copa Libertadores. In Colombia avrebbero fatto follie per lui. Pensate che Pékerman gli ha anche proposto di naturalizzarsi colombiano per avere l’opportunità di convocarlo con i ‘Cafeteros’. “Per un momento mi è anche passato per la testa, però non è stato possibile”, ha ammesso recentemente Armani. Che alla fine però è entrato a far parte dei 23 di Sampaoli per Russia 2018 grazie alle prestazioni messe in mostra dopo il trasferimento al River Plate nel gennaio scorso. Inizialmente sarebbe stato il terzo portiere ma con l’infortunio di Romero e conseguente convocazione di Nahuel Guzman è scalato a secondo. Ha approfittato dei pasticci di Caballero contro la Croazia e l’ha scavalcato nelle gerarchie, scendendo così in campo contro la Nigeria e facendo un figurone.
Sono passati esattamente quarant’anni e un giorno dalla storica vittoria dell’Argentina ai Mondiali del ‘78. Il portiere di quella Selección era Ubaldo Fillol del River Plate, che esordì quattro anni prima, da debuttante assoluto, subentrando alla terza partita della seconda fase a gironi dell’Argentina ai Mondiali tedeschi. Stesso destino toccato a Sergio Goycoechea, portiere ‘Millonarios’, che esordì nel terzo match di Italia ‘90 e contribuì a portare l’albiceleste fino in finale. Senza dimenticare che anche come nell’86, in occasione del secondo titolo mondiale della Selección, in porta c’era Nery Pumpido, anch’egli ai tempi portiere del River proprio come Armani. Non per essere scaramantici, però se fossimo nei panni degli argentini forse un pensierino a lasciare Armani tra i pali per l’intera durata della competizione forse lo faremmo… Anche se, scaramanzia a parte, difficilmente Sampaoli deciderà di sostituirlo dopo quanto dimostrato. Una prestazione tale da renderlo in patria addirittura più famoso del suo omonimo stilista.