Italia, Inghilterra, Francia e Spagna, ovunque è andato Carlo Ancelotti ha vinto qualcosa. Tra le "top" leghe europee gli mancava la Bundesliga e con un club come il Bayern Monaco difficilmente Ancelotti fallirà l'obiettivo. Quale dei quattro paesi stranieri lo ha conquistato di più? E quali sono state le più grandi difficoltà? Domande che Fabio Capello ha posto a Carletto durante la trasmissione di Fox Sport, "Collezione Capello".
"L'esperienza in Inghilterra all'inizio è stata vissuta con un po' di preoccupazione perché era la prima volta in un paese straniero" - racconta Ancelotti - "E' stato complicato perché c'era la difficoltà della lingua. Ti condiziona non tanto a livello tecnico, ma soprattutto a livello emozionale: non si riesce a trasmettere ciò che senti e vuoi che i giocatori sentano. Sono arrivato in un momento in cui il Chelsea non aveva fatto bene, ma c'era ancora la voglia di vincere, giocatori non più giovanissimi, ma forti e con grande personalità. John Terry, Frank Lampard, Michael Ballack, Didier Drogba: avevano ancora una grande motivazione. Abramovich? Con lui non avevo un contatto diretto, non si interessava molto a quello che succedeva giorno per giorno. Però era un presidente 'presente', che quando le cose non andavano bene chiedeva spiegazioni. Ogni presidente ha il suo carattere".
Dopo Londra un'altra bellissima città, Parigi: "Sono passato da un club organizzato come il Chelsea a uno come il Psg da ristrutturare. C'erano grandissime risorse ma ho dovuto lavorare molto sull'aspetto mentale. Tanti giocatori di qualità, ma poca abitudine a vincere. Il secondo anno abbiamo comprato Ibrahimovic, Thiago Silva, Motta, ma a dicembre la squadra non giocava ancora benissimo. Da un progetto a lungo termine, si era passati a vivere partita dopo partita. Un giorno, prima di una gara di Champions in un girone dove eravamo già qualificati, mi hanno comunicato che se non avessi vinto la partita sarebbero stati costretti a cambiare. Penso che sia sempre meglio aspettare l'esito di una gara prima di comunicare certe scelte. Lì si è incrinato il rapporto di fiducia e ho deciso che a fine stagione sarei andato via. Loro dicevano che c'era sotto il Real, ma in realtà i motivi erano altri".
Arriva dunque il momento del Real e della "decima": "Madrid? Bellissima esperienza. Clima, città, tifoseria, club: tutto fantastico. C'è una fortissima convinzione di essere i migliori del mondo, giustificata dal numero di trofei, dalla storia e dai milioni di tifosi in giro per il mondo. Florentino Perez? Quando ho firmato per il Real sapevo la storia degli allenatori precedenti, cambiati anche se vincenti. Ultimi 5 minuti della finale di Champions? Ero molto concentrato, c'era la voglia e la sensazione che qualcosa potesse succedere. E' accaduto all'ultimo minuto ed è stato un colpo di fortuna. La decima era un po' l'obiettivo di tutto l'anno e dopo c'è stata una gran festa. Anche la seconda stagione è stata buona fino a dicembre ma poi ci sono stati troppi infortuni".
Ancelotti ha cercato sempre di rispettare le tradizioni dei paesi che lo hanno ospitato: "Sì, cerco di adattarmi un po' alle abitudini dei posti in cui vado a lavorare. I giocatori inglesi, ad esempio, erano abituati a mangiare le uova prima della partita, ma questo non influenzava sul loro rendimento. In Spagna i calciatori vanno a dormire alle 2 e vogliono allenarsi la mattina in modo da avere tempo il pomeriggio per recuperare". Il suo "allievo" Zidane se la sta cavando piuttosto bene: "Ai grandi giocatori può capitare di pensare di sapere già tutto per il semplice fatto di essere stati il top quando calcavano i prati. Zinedine ha avuto l'umiltà di imparare nuove cose. Ha fatto la sua esperienza al Castilla e quando è tornato il suo grande carisma gli ha permesso di avere il rispetto di tutti i giocatori".
Differenze tra Premier, Liga e Ligue 1? "In Inghilterra a livello di stampa sono più interessati alle situazioni private, che a tattica e formazioni. Il buono per un allenatore è che prima e dopo la partita le conferenze sono brevissime. Poi è bello l'ambiente, in Premier vanno via tutti contenti dopo un match, senza critiche o contestazioni. In Francia ci sono molti giocatori africani e questo porta le varie squadre a puntare molto sull'aspetto muscolare: a livello tecnico e tattico devono crescere. A parte il Psg nessuno può permettersi acquisti onerosi e quindi il livello qualitativo non è alto. In Spagna, invece, il livello qualitativo è altissimo e l'attenzione della stampa è grande: basti pensare che il Real ha due giornali che parlano esclusivamente del club. Per non parlare delle radio... Un po' quello che accade a Roma".
Ultima esperienza in ordine cronologico quella in Bundesliga: "Monaco di Baviera? Città stupenda. Tra le usanze del club c'è quella di lasicare il centro sportivo aperto una volta a settimana. Però, anche se all'allenamento vengono 1000 persone, sembra che non ci sia nessuno. Il tedesco è una lingua complicata, la grammatica è diversa da quella latina. Con i giocatori parlo spesso in inglese e con Vidal e Coman mi permetto qualche chiacchierata anche in italiano. Il clima partita e gli stadi sono fantastici. La Bundes e il Bayern hanno il record di media spettatori. A livello tattico cerchiamo di finalizzare il possesso palla il prima possibile. Sotto il profilo del controllo del gioco e del recupero palla Guardiola ha fatto un grande lavoro. Ma a volte voler recuperare il pallone il prima possibile porta a perdere determinati equilibri".
Dove si stabilizzerà Ancelotti una volta chiusa la carriera? "L'anno scorso sono stato a Vancouver e mi è piaciuta molto. Ma al momento voglio stare sul pezzo e non so tra vent'anni cosa farò, magari andrò Fox Sport a parlare di calcio. L'esperienza all'estero è importante sotto l'aspetto professionale e personale. Tante volte quando diventi allenatore capisci che problemi hai causato quando eri dall'altra parte. Molte volte si dice ai propri figli 'lo capirai il giorno che diventerai papà'. Ai giocatori si dice, invece, 'lo capirai il giorno che diventerai allenatore' ".