Folta chioma ereditata dal papà congolese, sguardo determinato, personalità carismatica. Così Sara Gama è diventata una delle calciatrici più riconosciute del calcio femminile nostrano e non. Gioca in difesa, ma solo sul campo. Fuori, attacca per abbattere il muro dei pregiudizi e dei luoghi comuni, un tema che le sta particolarmente a cuore e che nel corso degli anni l’ha contraddistinta, permettendole di ricevere una serie di riconoscimenti, come il Sigillo Trecentesco della sua città, Trieste, conferitole in prima persona dal Sindaco. Nel 2018, in occasione della giornata internazionale della donna, il suo nome è spiccato tra le 17 personalità femminili scelte da 'Mattel' che le ha dedicato la creazione di una Barbie, per “la grinta in grado di ispirare ogni bambina a perseguire sempre i propri sogni”.
L’ultima, ma non per importanza, nomina tra le 100 italiane più influenti di 'Forbes' ha ancora una volta premiato la sua costante battaglia contro gli stereotipi, senza dimenticare la sua presenza nel Consiglio Federale FIGC in quota AIC con l’obiettivo di tutelare in prima persona il movimento e, soprattutto, con l’intenzione di far sconfinare il calcio femminile dal dilettantismo attuale. E se la prima Barbie l’ha avuta alla soglia dei trent’anni, il pallone è stato da subito il suo migliore amico.
Sara ha iniziato a tirare i primi calci sin dalla tenera età nel cortile di casa, una passione coltivata soprattutto grazie al supporto del nonno. Le primissime volte l'hanno vista alle prese come attaccante, arretrando poco a poco nel ruolo di centrale difensivo che dal 2017 ricopre alla Juventus, dove indossa la fascia di capitano.
La stessa che porta in Nazionale e che ha fieramente infilato al braccio durante i Mondiali, guidando la difesa azzurra con autorità e precisione, caratteristiche messe in luce durante le cinque partite in Francia e che, non a caso, le valgono l’inclusione nella formazione tipo della competizione stilata dalla BBC che l’ha definita “vera leader del reparto arretrato”.
Proprio in Francia, dopo l’esperienza al Tavagnacco e al Brescia, Sara passa una fetta importante della sua carriera, militando per due anni nel settore rosa del Paris Saint-Germain e raccogliendo l’apparizione nella finale della Women’s Champions League, la prima per una italiana.
La lontananza da casa e la chiamata della Juventus la invogliano a tornare in Italia, dove può disciplinare ulteriormente i segreti del mestiere osservando da vicino gli allenamenti dei bianconeri. In particolare i movimenti e le marcature di Chiellini, con cui condivide ruolo e numero di maglia ma anche un titolo accademico.
Come Giorgio, infatti, anche Sara annovera una laurea in Lingue e Letterature straniere ottenuta all’Università di Udine nell’anno della firma con le bianconere. La tesi? Non poteva che essere sul mondo del calcio femminile, filo conduttore della sua vita. Una vita di tackle e sacrifici, dentro come fuori dal campo, per “consegnare alle generazioni future una prospettiva migliore”.
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LAURA GIULIANI: PALLONE E SACRIFICI, LA VIA PER IL SUCCESSO
Ha fatto prima la cameriera, poi ha lavorato in fabbrica. Ed infine la panettiera, di notte, così poteva allenarsi quotidianamente tra i pali. Una passione, quindi, alimentata da grandi sacrifici, ritrovandosi costretta a dividersi tra calcio e mestieri vari. “Adesso come prima” è il suo slogan, tra calcio, famiglia e amore. Questi gli ingredienti del successo di Laura Giuliani, non necessariamente in questo ordine.
Classe '93, alta un metro e settantatré cresce a pane e pallone sin dalla tenera età, giocando con la sorella nel cortile di casa e con gli amichetti all’oratorio del paese... “Inizialmente non sapevano in che ruolo mettermi in campo, così mi hanno messo in porta”, e da lì non si è più spostata. Nemmeno con la squadra femminile del Como, prima di preparare le valigie.
Destinazione? Estero, Germania, in compagnia dello storico fidanzato che appare spesso accanto a lei nelle foto di Instagram e con cui condivide la passione per il calcio e lo stesso ruolo in campo, in Eccellenza. L’allontanamento da casa è durato ben cinque anni, una scelta che sin da subito ha trovato l’appoggio della famiglia, in particolare del nonno che l'ha sempre spronata a seguire il suo sogno e al quale oggi volge un pensiero prima di scendere in campo. In terra teutonica segue un importante percorso di crescita, sportivo e personale; le viene conferita la nomina tra le prime cinque giocatrici più forti in assoluto tra i pali e la riconoscono come “donna ragno con gli occhi di ghiaccio”.
Torna in Italia per sposare il progetto della neonata Juventus, che le affida la maglia numero 1 e con la quale arriva alla conquista dello scudetto nella stagione d’esordio, condita anche dal premio individuale come miglior portiere. La chiamano “supereroina”, un soprannome in linea con quello del suo “supereroe”, del suo mito Gigi Buffon, per le sue prodezze nella spedizione in Francia che la vede protagonista già nella prima gara, quando viene tirata in causa per neutralizzare un calcio di rigore.
Una delle tante occasioni dove si mette in luce, suonando la carica e trascinando le azzurre sino ai quarti di finale del Mondiale che le cambia la vita. E che forse la ripaga di tutte le alzatacce alle 4 di mattina per andare a fare il pane: perché non c’è passione senza sacrifici, “non c’è sorriso senza pianto”. Il vero successo per Laura è rimanere se stessi. Soprattutto adesso, come prima. Più di prima.
A cura di Giada Mazzucco