Interviste e Storie

Un presente eretto sul passato: il coraggio di Raimondo spinge Frosinone

Antonio Raimondo, attaccante Frosinone (imago)

L’attaccante 21enne dei ciociari si è sbloccato con una doppietta contro il Cesena, squadra che ha dato il via alla sua carriera: la sua storia. 

Un pensiero comune ritiene che guardarsi indietro sia segnale di insicurezza. Eppure, ciò che, in maniera del tutto inconsapevole, segna maggiormente la vita di tutti sono le esperienze vissute. Lo ha imparato, Antonio Raimondo, attaccante del Frosinone tornato al gol nel match di campionato di Serie B contro il Cesena.

Quella di Raimondo è la storia di chi del proprio passato sta facendo il suo vessillo. Ripercorrere il percorso, spesso, è proprio ciò che serve. Per pensare. Ragionare. E accorgersi che, in fondo, la carriera, come la vita, è un ciclo.

Fermarsi. Osservare. Riflettere. Ovunque. All’imbrunire dopo un allenamento. Seduto sul sedile del passeggero di un’auto carica di bagagli, dopo aver svuotato con cura l’armadietto dello spogliatoio in cui i sogni del piccolo Antonio che scorrazza per i campetti della provincia di Ravenna diventano concreta percezione del suo destino: a Casteldebole, Bologna. Il motore è acceso, papà Pietro è seduto al volante. Il navigatore segna la destinazione: Terni.

Antonio mette lo sguardo fuori da quel finestrino. La luce fioca del tramonto illumina lo scorrere dei ricordi di un periodo forgiante per Raimondo. Tra i sorrisi e i consigli di un Musa Barrow che lo accoglie per la prima volta nel Bologna dei grandi e lo stupore incontenibile nell’ammirare la potenza e le giocate di Marko Arnautović. Fino alla raffica di gol segnati nella Primavera rossoblù e una sagoma incappucciata con la testa bassa che sibila parole che arrivano dritte al cuore.

Passione Romagna

Ravenna. Città che vive del suo passato. Della sua storia. Trascinata dallo splendore artistico conservato nei secoli. Sempre la scienza sostiene che ad influenzare il carattere dell’individuo siano anche i luoghi. Nato nella città bizantina da famiglia di origini campane, Raimondo si avvicina al calcio in tenera età. Infrangendo il sogno del padre Pietro che l’avrebbe voluto judoka. Abdicando al tatami per il prato dei campi da calcio dell’Eden Ravenna, dell’Azzurra, del Low Ponte e del Cervia, la Romagna fa esplodere la passione. Papà almeno può consolarsi con la fede: quella per il Napoli ed Edinson Cavani non si discutono.

E così succede che dopo una lunga astinenza con le maglie di Venezia in Serie A e Salernitana in B, sia proprio la sua Romagna a riaccendere la fiamma che alimenta quella passione: il gol. Un altro motivo per fermarsi. Riflettere. Guardarsi indietro. E inchinarsi a ciò che è stato. Quel Cesena che, quando ha solo 9 anni, decide di aggregarlo alla sua selezione dei Pulcini e di accompagnarlo nell’avventura del calcio giovanile, oggi, è il suo nuovo trampolino di (ri)lancio. Le immagini: i viaggi in E-45 con papà; i primi allenamenti in un settore vivaio di livello; gli amici oggi avversari come Berti e Francesconi. Fino all’imprevedibile e spiazzante confronto con la tragica realtà. 2018: il Cesena fallisce. Il settore giovanile viene smantellato. Qualcuno prova a dissuaderlo dal continuare.

Massimiliano Alvini (Imago)

Bologna, Antonio “scopre” Raimondo

Dall’E-45 all’autostrada A14 in, fondo, è solo questione di svolte. E quella scelta dal ragazzo è la stessa che cambierà il corso della sua vicenda. A 14 anni saluta la famiglia e parte per Bologna. Vivrà in convitto con gli altri ragazzi dell’Under 17 e della Primavera rossoblù e continuerà a dedicare tutto sé stesso al calcio. Le insidie? Fortificano. Si allena molto, ma gioca poco. Papà Pietro ci riprova. Lo invita a tornare a casa, ma il figlio non ne vuol sapere. “Quando ha rifiutato il mio consiglio di tornare indietro ho capito che sarebbe diventato un professionista”. Un genitore vede e riconosce sfumature impercettibili.

Le stesse sfumature che solo la sensibilità di chi prova sulla propria pelle le ingiustizie del destino può interpretare. E valorizzare. Una felpa. Il cappuccio in testa e il capo chino verso terra. Una voce flebile accarezza l’orecchio di Antonio mentre si dirige in infermeria per sottoporsi a dei trattamenti: “Tienti pronto ragazzo, sta per arrivare il tuo momento”. Esitazione. Si gira. Nel pieno della sofferenza causata dal terribile male che lo colpisce, Sinisa Mihajlović vuole dirigere a tutti i costi la seduta di allenamento del suo Bologna. Del quale, da quel momento, farà parte anche l’allora 17enne Antonio Raimondo.

Il lascito di Mihajlović

Grande esempio di umiltà. Unico nel suo modo di porsi e nel reagire. Un esempio per tutti: Sinisa Mihajlović. “Speciale” – per Antonio. Come quel 17 maggio 2021 – esattamente due settimane dopo quell’avvertimento – quando l’allenatore serbo regala all’attaccante ravennate l’esordio in Serie A contro l’Hellas Verona. Esitazione. Si ferma. Pensa. “Mi è passato davanti tutto il mio percorso” – confessa qualche anno dopo.

L’anno seguente arriverà anche il debutto dal primo minuto. In pieno stile Mihajlović. L’allenatore annuncia la titolarità del ragazzo nella trasferta contro il Genoa in conferenza stampa. Una sorpresa che, senza dubbio, avrà condiviso subito con chi non si vede, ma è sempre presente: papà Pietro. Anche senza sfrecciare in autostrada.

Frosinone, l’ultima sosta

Poi accade che sia la vita stessa a chiederti di fermarti. Sinisa non c’è più. Antonio perde un punto di riferimento. Segnale che sia il momento di cambiare. Altra sosta.

In quell’auto già rivolta, prima, verso l’Umbria dove la Ternana decide di accoglierlo per permettergli di segnare 9 gol nella sua prima stagione in Serie B, poi inceppata nel tragitto che dalla Laguna veneziana arriva alla costiera Amalfitana e oggi parcheggiata a Frosinone. Il resto sta scorrendo fuori da quel finestrino.

Alvise Gualtieri

Nasco all’ombra delle Torri in un giorno che ricordo solo io e nell'anno del rigore di Pasadena. Baggio? Il calcio. Cresco nella “Terra Solatia” con la Laguna come sfondo. Mi svincolo tra codici giuridici e penna. Tra atti e storie so sempre cosa scegliere. La scrittura, forse, un dono del destino scoperto prima dagli altri grazie a un gol di tacco di Del Piero. Djokovic e VR46 le ragioni di una passione. B.B. King e David Gilmour: galeotta fu quella chitarra. Kurt Cobain il mito. La montagna nel cuore. Camminando, pensando e scrivendo. Ma non mi sento “Dante”. Basso profilo, costanza e affari miei. Filosofia vincente? Lo dirà il futuro.

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