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Dalla D alla A in un anno: Fiorentina, la storia di Lorenzo Chiti

E adesso che faccio? La prima reazione è stata più o meno questa. Lorenzo Chiti (classe 2001) ha da poco superato il cancello verde del centro sportivo e vede tutti i "grandi" della Fiorentina seduti a tavola. È la prima volta che si allena con la prima squadra, non sa che lì si fa colazione tutti quanti insieme. Lui nel frattempo l'ha già fatta, a casa. Sul tavolo le solite fette biscottate con marmellata e miele. Niente, tocca fare il bis.

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La palestra della Serie D

Siamo ad inizio stagione e in panchina c'è Montella, che lo chiama sempre per nome. Un piccolo gesto che strappa a Lorenzo un sorriso orgoglioso. Pochi mesi prima giocava in Serie D con l'Aglianese, dove non era cominciata benissimo. L'allenatore non lo metteva mai perché aveva solo 17 anni, pochi a suo avviso. La squadra però non ingranava ed è scattato l'esonero. In panchina è arrivato mister Iacobelli, uno che in Serie A c'è stato e che non si ferma alle apparenze: "Faccio giocare il bimbo", amava ripetere. Da lì 18 presenze con i grandi. In campi a volte pesantissimi e contro gente spesso molto furba. L'attaccante del Montevarchi per esempio se lo ricorda ancora: si tirava da solo la maglia e chiedeva all'arbitro l'ammonizione di Lorenzo. Furbate che non hanno categoria.

Il provino con l'Udinese

E che lo hanno aiutato. Perché poi accade che l'Aglianese organizza un'amichevole alle Caldine contro la Primavera della Fiorentina. Lorenzo gioca un tempo e qualche giorno dopo si trova a rispondere al cellulare. È il presidente: "Da domani ti alleni con i viola", gli dice. Si chiude una porta e si apre un portone, questo il suo primo pensiero. Qualche settimana prima era saltato il trasferimento all'Udinese. Dopo un provino lo avevano chiamato per un torneo in Svizzera. Sembrava tutto fatto, era in programma anche la classica visita agli appartamenti. Poi, sul più bello, è arrivato il "no, grazie".

Una delusione, ma Lorenzo adesso si guarda e sorride. In allenamento ammira Castrovilli e Chiesa, negli uno contro uno affronta Ribery e Sottil (devastante, dicono). La sua casa, Prato, dista solo qualche chilometro. Può continuare a vedere sua sorella Carolina, poi Carlotta – la fidanzata conosciuta dietro ai banchi del liceo scientifico – e anche mamma Cristina e Babbo Alessandro, che non si perdono mai una sua partita. Durante il lockdown lo hanno supportato, perché Lorenzo ha avuto la febbre per quattro giorni. Niente coronavirus, il test sierologico lo ha confermato. Molta paura però. E senso di responsabilità, tanto da chiudersi da solo in camera facendosi portare da mangiare dai genitori. 

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Qualche puntata del Trono di Spade, un po' di Fifa 20. Ma il vero divertimento è tornato dopo, quando ha ripreso a correre e ad allenarsi. Lo fa con Iachini da oltre un mese, quando le sedute da individuali sono tornate collettive. Qualche giorno fa l'allenatore lo ha voluto premiare, facendolo restare anche nella partitella finale. Dieci minuti indimenticabili per chi Ribery prima lo prendeva solo alla play.


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L'idolo Kakà

Osserva Pezzella, ammira Bonucci. L'idolo però è sempre stato Kakà, per questo da bambino tifava Milan. Faceva il centrocampista, mezzala e poi mediano. Infine difensore centrale dal destro elegante prima ancora che irruento. Un ragazzo introverso, ma che di grinta ne ha. Nei giovanissimi nazionali del Prato, per esempio, non giocava molto, perché gli altri crescevano e lui no. Da lì la scelta di andare al Tau Calcio, società affiliata con l'Inter. Poi l'Aglianese e il prestito alla Fiorentina Primavera, con cui è sceso in campo 14 volte. Dalla D alla A in un anno, sognando il riscatto e – chissà – la prima convocazione. In 365 giorni può succedere di tutto. Lorenzo lo sa bene.