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Kanter, l’anti-Erdogan che spiega quell’esultanza militare

Le luci dei riflettori, le copertine, l’indignazione globale. La Turchia è sulla bocca di tutti, mentre negli occhi e nella testa di tanti resta indelebile l’immagine di un’esultanza con fare militare che vale tutto l’appoggio al regime di Erdogan e ai recenti attacchi al popolo curdo anche da parte della nazionale di calcio.

Può uno sport essere veicolo di odio e violenza? Sì. Ma può anche fare il contrario, con esempi nobili e meno nobili che da anni, ad altre latitudini, provano a spostare l’attenzione su una vicenda che sembrava avere un finale già annunciato.

Non è calcio ma basket, quello importante della NBA americana, una Lega che riesce ad unire – caso unico al mondo – spettacolo in campo e casi clamorosi fuori da parquet. E a prendersi le copertine negli ultimi anni è stato Enes Kanter, centro di 27 anni che è nato a Zurigo ma ha il cuore ad Istanbul, dove è poi cresciuto negli anni fondamentali della sua vita insieme con i genitori, rientrati in patria. Il basket è stato la sua strada fin dall’inizio e proprio nel capoluogo turco ha cominciato a muovere i primi passi prima dei saluti per il sogno americano.


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Non sarà ricordato per un talento irripetibile – anche se negli ultimi anni si è fatto apprezzare per la crescita e la costanza di rendimento in campo – ma il suo ruolo all’interno dello sport mondiale è cambiato irrimediabilmente nel luglio 2016: anche se a distanza, Enes non ha mai nascosto l’acredine per il regime instaurato da Erdogan tre anni fa e il regime, dal canto suo, non ha mai fatto nulla per passare inosservato. La sua colpa: l’appoggio a Gulen, prima alleato e poi fiero oppositore dello stesso Erdogan. Un mese dopo i primi commenti di Kanter, i militari turchi hanno perquisito la casa della sua famiglia ad Istanbul, rinchiudendo il padre – che rinnegherà poi qualche mese dopo il figlio con una lettera al regime in cui specifica “…che Enes sarà per sempre rinnegato dalla nostra famiglia” – in carcere per cinque giorni.

Al più giovane fratello di casa Kanter, Karem, verrà negata ogni possibilità di partecipazione alle nazionali di basket giovanili e lo stesso Enes è stato bandito dalla nazionale turca. Alla famiglia Kanter ancora residente in Turchia sono stati sottratti ed annullati i passaporti, così da non poter lasciare più il Paese e anche il cestista NBA – che non ha più contatti con i familiari da quel giorno – non può più far ritorno in patria vista la condanna a 4 anni di carcere che pende su di lui dal 2017. Nell’estate di quell’anno, Enes lasciò di corsa alcuni eventi benefici in Indonesia (di cui è protagonista da anni) per far ritorno in America visto che i militari turchi erano pronti all’arresto. Durante lo svolgimento di uno dei suoi tanti camp benefici in giro per il mondo, l’agente avverte Kanter del pericolo imminente: il Governo indonesiano, allertato da Erdogan, sta per procedere all’arresto, Enes scappa in piena notte ma durante lo scalo a Bucarest si accorge che i suoi documenti non sono più validi. Vive per qualche ora da prigioniero in Romania, riuscirà a tornare negli USA solo grazie all’intervento di alcuni senatori dell’Oklahoma (giocava in quel momento per i Thunder di Oklahoma).


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Nel 2018 e nel 2019 Kanter non ha partecipato ai “Global Games NBA” (una gara del campionato americano viene giocata a Londra) per il timore di un arresto su suolo inglese. Un ragazzino turco che aveva votato Enes all’All Star Game di quell’anno è stato intercettato dal regime di Erdogan e rinchiuso in carcere per qualche giorno. Al papà di Kanter è andata ancora peggio, visto che la condanna di un anno fa lo ha costretto a 15 anni di carcere. In Turchia nessuna partita NBA che vede protagonista Enes viene trasmessa in Tv e il presidente della Federbasket turca (l’ex giocatore Hedo Turkoglu, sostenitore di Erdogan) lo ha bandito a tutti gli effetti dallo sport nazionale.

Starei marcendo in galera se fossi tornato in Turchia. Restare lontano dalla mia famiglia è un sacrificio enorme, ma le cose buone non ti vengono mai regalate, non sono mai semplici da conquistare. Il mio problema non è con il mio Paese, ma con il regime nel mio Paese. La Turchia potrebbe essere il ponte tra l’Islam moderno e l’Occidente, ma in questo momento, non c’è libertà: nessuna libertà di parola, nessuna libertà di religione, nessuna libertà di espressione”. Questo il pensiero di Kanter che negli ultimi tre anni è stato protagonista di una lotta ad armi impari di cui forse pochi hanno avuto il coraggio di parlare e che in campo ora scende con scarpette su cui scrive a penna “Freedom”.

Lui, Enes, le vicende degli ultimi giorni le aveva predette tempo fa e in pubblico non ha mai mostrato alcuna esultanza militare, pagando un conto già oggi fin troppo salato. Lo stesso conto che la nazionale di calcio ha allontanato sapientemente con quella mano portato alla fronte e un appoggio al regime forse un po’ più spiegabile.

Di Gennaro Arpaia

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