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Boateng e la Fiorentina: quando la vita è una continua capriola

L’ultima volta che Kevin-Prince Boateng si è trovato sulla strada della Fiorentina risale a qualche anno fa. Tre per la precisone, perché era il gennaio del 2016 e faceva decisamente più freddo rispetto ai 30 gradi con cui Firenze lo ha accolto in queste ore. Tatarusanu esce male, lui ne approfitta, lo salta e segna. Una liberazione, perché non gonfiava la rete da 23 mesi.

La capoeira in quell'occasione, però, è diversa. Le vertiginose capriole post gol al Barcellona sono un ricordo. Il movimento è quasi incompleto, fiacco, logorato dalle tante difficoltà avute allo Schalke, che lo hanno indotto a pensare perfino al ritiro. Sulle sue spalle non c’è più la 10 del Milan che aveva ereditato da Seedorf, ma la 72.

Poi il rilancio al Las Palmas, la bella stagione con l’Eintracht Francoforte (che lo avrebbe ripreso volentieri) e il ritorno in Italia, al Sassuolo, con De Zerbi che lo chiama otto volte al giorno per convincerlo. Ora eccolo qui, con la maglia viola addosso. Sulla sua strada di nuovo la Fiorentina, ma la capoeira è tornata quella dei bei tempi. La sua vita, in fin dei conti, è sempre stata una capriola continua.


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Capovolgimenti, cazzotti incassati e reazioni. Nessuna resurrezione, perché non è mai morto. Kevin-Prince è fatto così e al tappeto non ci va mai, come il suo idolo Muhammad Ali. Dall’inferno al paradiso. Nessun colpo di fortuna, solo duro lavoro. Stile Chris Gardner, l’imprenditore americano la cui storia è stata proiettata sul grande schermo da Will Smith, fra gli attori preferiti di Boateng.

 A 20 anni il Tottenham decide di puntarci. Non il suo allenatore, Martin Jon: “Non rientri nei miei piani”, “Ah sì? Allora mi diverto facendo altro”. Il loro botta e risposta è andato più o meno così. Da lì una festa dietro l’altra, gli occhi gonfi di chi fa le sei del mattino sei giorni su sette, la pancia non proprio atletica di chi si arrende al Junk food. La bilancia arriva a toccare 95 chili, Boa è in piedi davanti alle sue tre macchine e alla villa come 50 Cent. Impossibile andare avanti così. Tira fuori il cellulare dalla tasca, chiama due amici veri (non quelli che non gli chiedono mai come stia ma solo biglietti per lo stadio) e ripulisce il frigorifero. Basta giocare al ragazzo del ghetto che si è arricchito.

Il rilancio, a questo giro, si chiama Borussia Dortmund. O meglio, si chiama Klopp. L’allenatore migliore che abbia mai avuto (cit.), uno che sa rendere felice anche chi gioca solo sei minuti a stagione. Da lì la bella esperienza al Portsmouth e l’arrivo al Milan. Altra capriola, la vita di Boateng va più veloce delle altre.


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Lui che ha solo 32 anni. Un ragazzo ancora, partito dalle pericolose strade di Wedding e arrivato fino al Palazzo di Vetro dell’Onu, laddove ha parlato di razzismo davanti a Nelson Mandela. Lui che ha avuto il coraggio di calciare un pallone in tribuna e di abbandonare il campo nell’amichevole contro la Pro Patria a causa dei soliti schifosi cori razzisti. Lui che ha avuto la forza di perdonare un padre scappato troppo presto. Lui che odia gli gnocchi e che qualcuno gli tocchi i capelli, ma che un domani sogna di aiutare i calciatori ad inizio carriera per far sì che non ripetano i suoi errori.

Denzel Washington, altro attore che gli piace tanto, è nato a Mount Vernon, a qualche miglia dal Bronx, la terra di Rocco Commisso. Un altro la cui vita è stata una capriola continua e che ha scelto Boateng come primo acquisto della sua presidenza. Forse non poteva essere altrimenti, certi uomini si capiscono subito. Adesso si sono trovati. Una nuova sfida per entrambi, Firenze e la Fiorentina i denominatori comuni.