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Napoleon…i alla conquista dell’Europa. Dalla Polonia alla Grecia: “Adesso primo in Turchia!”

Se ti chiami Napoleoni non puoi che avere come missione di vita quella di conquistare l’Europa. Certo, non esattamente dalle Alpi alle Piramidi o dal Mazzanarre al Reno, ma dal Colosseo a Danzica e dal Partenone al Bosforo sì. Classicisticamente parlando, infatti, Stefano, che a differenza del più celebre Bonaparte, Napoleoni fa di cognome, è uno che l’Europa l’ha conquistata eccome.

Andato via giovanissimo dall’Italia grazie all’occhio attento di Boniek che seppe scovarlo nelle giovanili del Tor di Quinto. “Venne a vedere la semifinale di un torneo nazionale juniores – racconta Stefano Napoleoni a gianlucadimarzio.com – e il mio presidente prima della partita mi disse: “Guarda chi t’ho portato!?”. E mi indicò Zibi”. Amore a prima vista, anche perché in quella partita Stefano fece 3. A Boniek, però, serviva ancora un’ultima veduta prima di avere le sue conferme, che arrivarono in occasione della finale. Tor di Quinto campione e Stefano Napoleoni ancora protagonista.

Da Roma al Widzew Łódź, squadra della quale è quasi impossibile pronunciare il nome. “Ho sempre avuto il sogno di diventare un calciatore professionista e non ho mai smesso di crederci. Ho pur facendo tanti sacrifici vedevo che in Italia non riuscivo ad arrivare. Ecco perché quando c’è stata questa proposta dalla Polonia non me la sono fatta scappare”. Pullover pesanti, giacche a vento e cappelli di lana, perché lì non trovi certo il clima mediterraneo dell’Italia, ma poco importa. “E’ stata un’esperienza bellissima: ero un ragazzo di periferia che arrivava a giocare in Serie A”. E per riscaldare il clima ci pensavano i tifosi. “Ancora li porto nel cuore, una tifoseria caldissima”. Insomma una grande esperienza sia a livello umano che calcistico. Ma non sufficiente per ritenere di aver conquistato l’Europa.

E allora valigie pronte di nuovo, altro giro altra corsa. Questa volta con destinazione Grecia. “Mi sono avvicinato un pochino all’Italia geograficamente e devo dire che lì mi sono trovato benissimo. La Grecia è la mia seconda casa e mi sono letteralmente innamorato e poi ci sono squadre che a livello europeo hanno una storia”. “Una faccia una razza”, gli dicevano appena è arrivato al Levadiakos e a quanto pare avevano ragione. “Ho avuto una grande facilità ad ambientarmi: la vita è facile per un italiano in Grecia”. Poi Stefano è uno che ha sempre il sorriso sul volto e scherzare è un po’ la sua vera forza. Come quando ha scelto di giocare con la maglia numero 1. “Avevamo un presidente un po’ particolare: non voleva far prendere il 10 a nessuno mentre io lo volevo fortemente. Diceva che lui era il numero uno del club e la 10 era soltanto sua. A quel punto gli dissi: ‘Lei si tenga la sua numero 10 che io mi prendo la 1”.

La battuta è sempre pronta, come il gol che non è mai mancato, neanche all’ Atromitos, la squadra di Atene dove ha giocato prima dell’ultimo viaggio, quello che lo ha portato ad Istanbul dove adesso guarda tutti dall’alto in basso con il suo İstanbul Başakşehir. Avete letto bene. Galatasaray, Besiktas e Fenerbahce stanno tutte dietro. Primi in classifica ci sono loro, i “meno famosi” della città, che proprio domenica hanno conquistato un punto fondamentale grazie ad una doppietta di Stefano. “La squadra non è tra le top perché negli ultimi anni ha cambiato tanto. Ma sono due anni che proviamo ad andare in Europa. Abbiamo uno stadio bellissimo e grazie al lavoro ci siamo messi alle spalle le squadre molto più attrezzate di noi”.

Dopo la doppietta è andato a festeggiare con la sua ragazza in un ristorante rigorosamente italiano. “Devo ammettere che mi sono abituato poco alla cucina turca. Preferisco stare a casa dove cucina la mia ragazza”. In Italia ci torna poco, solo per le vacanze, ma nel suo corpo scorre un sangue a tinte giallorosse. “Romano e romanista come i tatuaggi sul mio corpo possono testimoniare”. A partire da quel bel Colosseo lì sul fianco destro, simbolo di una città che ama e che non ha dimenticato nonostante le conquiste in giro per l’Europa che il suo cognome gli imponeva per destino.