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Un fischio in barba alle convenzioni. Addio Agnolin, arbitro ribelle

Chissà se quel giorno a Torino aveva ragione lui. Non c’era il Var e nessuna moviola nel dopopartita a chiarire. Era il 26 ottobre del 1980, giorno di Juve-Torino al vecchio Comunale. Bianconeri in vantaggio con gol di Causio. Poi, l’episodio destinato a segnarne la carriera: Tardelli raddoppia su colpo di testa e corre sotto la curva. “Fuorigioco”, dice Luigi Agnolin. Proteste accese, tensione alle stelle. Il Torino rimonta e vince con doppietta di Graziani. Sul secondo gol granata, Zoff si scontra con Pulici in uscita e non riesce a trattenere il pallone. Graziani raccoglie e segna.

Bettega affronta l’arbitro di Bassano del Grappa. Che risponde, o avrebbe risposto, in dialetto veneto: “Mi te fasso un cesto cussì”, con le mani larghe per indicare la misura. Sul referto fioccano squalifiche per i bianconeri. In televisione si scatenano le polemiche: da poche settimane la Rai ha lanciato un nuovo programma. Si chiama “Il Processo del lunedì” e diventerà un fenomeno mediatico. Quel derby è il primo vero spunto. Per alcuni là dentro Agnolin è un eroe integerrimo alle pressioni, per altri è un sicario della Juve. Chiacchiere senza sentenza. Quella arriva dalla giustizia sportiva. Agnolin, figlio dell’arbitro Guido, viene squalificato per quattro mesi. Poco importa che Zaccarelli, mezzala del Toro, dica nel postpartita che anche lui aveva ricevuto la stessa minaccia dal fischietto di Bassano. Quell’episodio tenne banco per settimane, poi a novembre il terremoto dell’Irpinia cambiò la gerarchia delle notizie.

sPolemiche sopite o quantomeno buttate come polvere sotto al divano. Per quattro anni, lui e la Juve non si sarebbero più incrociati sul campo. Ne soffriva, perché credeva fortemente nel suo ruolo di garante di ciò che succedeva in campo. Il pensiero di essere “contro” qualcuno non gli è mai andato giù. L’unica cosa che non tollerò mai furono i luoghi comuni. E le convenzioni.

Nell’83, tornato da un viaggio in barca, incrociò il designatore D’Agostini. “Se ti presenti in campo con quella barba lunga, non ti faccio più arbitrare”. La settimana dopo, Agnolin guidò le squadre in campo senza aver mai toccato il rasoio. Un hipster ante litteram, un veneto poco incline a subire regole calate dall’alto senza un perché.

Fece carriera, nonostante il suo carattere. Perché in tanti lo consideravano il numero uno. Soprattutto all’estero. Insegnante di educazione fisica, gestore di un centro sportivo, arbitrò il mondiale dell’86, annullando un gol a Maradona contro l’Uruguay. “Solo lui poteva non convalidarmi un gol del genere. Gli mettemmo pressione per tutta la partita, dovevamo vincere a ogni costo. Lui niente, non si filava nessuno. Mi piaceva Agnolin”, disse anni fa Diego in un’intervista. In quel mondiale, un arbitro tunisino chiuse gli occhi su una mano diventata eterna e divina. Con l’uomo di Bassano chissà come sarebbe andata.

S’incrociarono di nuovo, con Diego qualche settimana dopo. A Torino. Eh sì, perché Agnolin fu designato per Juventus-Napoli. Il caso Bettega era ormai “prescritto”. Fu scelto lui per il big match. E furono di nuovo polemiche.

Il Napoli vince in rimonta a Torino, 29 anni dopo l’ultima volta. Lo fa dopo una prestazione impeccabile, con Tacconi che accumula miracoli per arginare l’estro di Maradona. Ma la Juve a fine partita recrimina su alcuni episodi: due reti su tre, la prima e la terza, sono viziate da posizioni di fuorigioco. Nel dopo gara la moviola rinfocola lo scontro Agnolin-Juve. Tacconi chiede “occhiali” per l’arbitro, pur ammettendo una netta superiorità del Napoli durante la gara.

Niente che scomponga Agnolin. Né lì, né durante la partita. A fine primo tempo si era stirato un polpaccio. Oggi sarebbe entrato il quarto uomo. All’epoca la “terna” era sola in campo. Venne curato all’intervallo dal massaggiatore della Juve e nel secondo tempo portò a termine l’incontro. Zoppicando un po’, senza arrendersi.

Alla fine di quell’anno diresse una finale di Coppa delle Coppe e – al termine di quello successivo – arbitrò la finale di Coppa dei Campioni: Psv-Benfica, 6-5 ai rigori, antipasto della maledizione di Bela Guttman.

Al mondiale di Italia ’90 fu mandato a casa dopo una partita da Blatter, senza mai aver capito il perché.

Smise di arbitrare nello stesso anno. Poi fu designatore di C, ma lasciò per contrasti con il presidente federale Antonio Matarrese. Ancora una volta, ribelle contro il potere, dopo 2 mondiali e 226 partite di serie A.

A metà degli anni ’90 saltò la barricata: direttore generale della Roma di Sensi nel ’94, poi amministratore delegato del Venezia nel ’99 e del Verona nel 2000. Rimanendo sempre un po’ arbitro dentro. Come quel giorno a Torino, quando bloccò l’ira di Sensi dopo uno Juve-Roma. Quello del caso Aldair, della rimessa laterale scivolata per alcuni e disturbata da un tocco del guardalinee per altri. La Roma gridava al complotto del Palazzo, Agnolin mise tutti a tacere.

“Ma non scherziamo. Non si fanno le rimesse laterali con i guanti”.

Dopo Calciopoli, fu nominato Commissario straordinario dell’AIA. Era il 2006, c’era “un calcio da bonificare”, disse. Collaborò anche col Perugia, fino al 2013, per poi ritirarsi a vita privata

È morto nella notte a 75 anni, dopo una malattia. Ha concluso il suo viaggio a Bassano, nel luogo dove l’aveva iniziato. Al suo funerale, dietro alla sua bara, ci saranno tante persone in silenzio con le mani dietro la schiena. Come i capitani quando andavano a parlare con lui.