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Sognando la Serie A… “Genitori: variabile che può rendere il calcio un ambiente ‘difficile'”

Sognando la Serie A è una rubrica sul mondo del calcio giovanile. Storie vissute (e scritte) in prima persona, tra ricordi, sogni e realtà.

Una cosa che mi sono sempre domandato fin dai primi anni di esordienti, è per quale motivo ogni genitore si sentisse quasi in dovere di manifestare la propria opinione.

Capisco che il calcio in quanto sport universale sia sulla bocca di tutti e che tutti si sentissero anche un po’ esperti, ma non so, spesso avrei voluto che fossero tutti un po’ più razionali.

I genitori sono una delle variabili che rendono il calcio un ambiente “difficile”.

Alla fine diventare un calciatore è il sogno di tutti e loro assomigliano tanto agli allenatori che in serie A, sbraitano e si agitano su e giù lungo l’area tecnica; non dipende da loro ma vorrebbero tanto essere in campo al posto dei loro figli.

La verità è che purtroppo grazie alla freddezza e alle frustrazioni proprie di alcuni di loro, spesso senza rendersene conto, contaminano letteralmente i sogni dei loro stessi bambini.

Devo dire di averne visti tanti di ragazzi bruciati anzi tempo a causa delle scelte e delle pressioni esercitate dal proprio padre o dalla propria madre.

La più classica delle situazioni sono quei genitori che non condividono le scelte dell’allenatore per i propri figli, e li vedi lamentarsi della posizione in campo in cui vengono fatti giocare oppure del minutaggio a tal punto, da arrivare a portarsi via il figlio in un’altra squadra.

Sarà un caso ma questo circolo spesso diventa vizioso e questi ragazzi si ritrovano a girare tutte le squadre della regione senza giocare mai davvero, senza divertirsi soprattutto.

La situazione che ho visto maggiormente però rimangono quei genitori che stravedendo per il proprio figlio e urlano costantemente indicazioni dagli spalti, nel migliore dei casi, per far si che i compagni gli passino la palla qualsiasi sia la situazione di gioco.

Ricordo che fino ad una certa età ho odiato giocare nella fascia sotto le tribune, non sopportavo sentire i loro commenti e le loro indicazioni ad ogni azione.

Il punto è che queste persone non riescono a vedere con razionalità nè il gioco nè il percorso.

A ripensarci adesso quasi mi viene da ridere che adulti di 40-50 anni si andassero a lamentare con l’allenatore del figlio di 8 anni perché in un calcio a 9 era schierato sulla fascia invece che al centro.

C’è da dire come queste ultime due situazioni non si verifichino quasi per nulla in una squadra top di serie A, dove ai genitori in genere è vietato fare scenate o avere rapporti con allenatore e società.

Non possono neanche vedere gli allenamenti e la domenica gli unici rumori che puoi sentire dalle tribune sono le grida di qualche tifoso o di parenti della squadra avversaria.

Come ho detto spesso, ringrazio di aver avuto genitori normali, soprattutto nella mia fase di crescita.

Il calcio per me era un divertimento, e in quanto tale fino ai 14 anni l’ho vissuto. Non mi interessava giocare attaccante, centrocampista o difensore, a me piaceva giocare e sfogarmi la domenica;

tra l’altro da piccolo preferivo entrare nel secondo tempo quando gli avversari erano stanchi e io avevo avuto modo di studiarmeli in silenzio dalla panchina.

Entrare e cambiare la partita lo trovavo più divertente.

Avevo iniziato più tardi a giocare, ero anche timido ma ho imparato subito a lasciar correre il brusolio delle tribune, nonostante mi desse molto fastidio, tra genitori che mi dicevano che non avevo abbastanza dribbling per giocare in attacco, o che ero ancora troppo scarso tecnicamente.

Alcuni adulti sapevano essere parecchio viscidi a volte nell’ambiente.

Capisco che ognuno voglia il bene per il proprio figlio e per se stesso, ma nel calcio giovanile pochi riescono a capire quale sia la scelta giusta, figuriamoci un bene oggettivo.

Purtroppo la maggior parte delle pressioni e delle tensioni che si respirano in uno spogliatoio di calcio giovanile tra i nove i quattordici anni è causata dall’influenza di alcuni genitori sui propri ragazzi, i quali ne riflettono poi idee e frustrazioni.

Un esempio su tutti è stato un caso che si verificò nel mio primo anno di Giovanissimi.

Avevamo due portieri di pari livello che si alternavano regolarmente le partite, Davide e Francesco, anche se casualmente era Davide a giocare tutte le partite di maggior rilievo.

Quest’ultimo aveva inoltre un padre e una madre iper presenti e molto agitati per così dire, che non perdevano mai occasione di mettere bocca su ogni cosa ed esaltare le doti del figlio.

Una normalissima domenica di una normalissima partita, l’allenatore schiera Francesco che era di turno quella settimana; ma Davide quella volta dal nulla iniziò a sbraitare per la decisione, lanciò per terra la maglietta e tornò negli spogliatoi sbattendo le porte.

Inutile dire che si era creata una situazione molto imbarazzante e spiacevole, soprattutto per Francesco, che al contrario non si era mai lamentato di nulla, nonostante a mio parere ne avesse ben più valide ragioni.

I genitori di Davide ovviamente invece di rimproverare il figlio per il comportamento hanno sempre cercato di difenderlo e di giustificarlo, a dimostrazione che probabilmente c’erano loro alla base di quello sfogo.

Lo ripeto ancora una volta, ringrazio di aver avuto genitori normali.

I primi anni, mia madre e mio padre si sono alternati abbastanza regolarmente per portarmi al campo;

tra lei che era felice di vedermi finalmente in armonia con un gruppo di amici, e lui che mi prendeva in giro dicendo che ero scarso.

Con il passare degli anni e l’aumento di stress e pressioni, mia madre è diventata semplicemente troppo sensibile per venire a vedere le mie partite, spesso arrivava al campo per poi andarsene dopo 5 minuti tutta agitata.

Mio padre invece si divertiva, continuava a darmi dello scarso ma non lo pensava più davvero, e tutte quelle pressioni dopo un po’ ha iniziato a sentirle anche più di me.

Ricordo quanto mi facesse ridere guardarlo in tribuna battere ritmicamente il piede destro, nelle partite importanti.

C’è da dire che l’atteggiamento dei miei genitori verso il calcio è cambiato con il tempo, forse da quando entrambi hanno iniziato a pensare che avessi le potenzialità per riuscire davvero.

Per mio padre è diventato anche il suo sogno, quel sogno che suo padre gli aveva distrutto anzitempo impedendogli di iniziare a giocare.

Mia madre invece secondo me, lo ha iniziato a vedere solo come un fuoco con cui mi sarei potuto bruciare, un sogno irrealizzabile che avrebbe potuto farmi davvero male.

L’altro giorno in università mi è stata chiesta la differenza tra opportunità e obiettivo, ho risposto che la differenza sostanziale sta nel fatto che l’obiettivo è un’ imposizione soggettiva, mentre l’opportunità può crearsi anche da fattori esterni all’individuo singolo.

Ecco, se c’è una cosa che posso rimproverare ai miei genitori, è che in qualche modo non mi hanno mai permesso di pensare al calcio come un’opportunità da cogliere, ma semplicemente come un obiettivo da inseguire, solo e personale.

Ricordo come fosse ieri il giorno in cui ho detto definitivamente basta, avevo ancora qualche squadra ma la paura di ritrovarmi a 27 anni senza niente in mano ad aspettare ogni estate che qualcuno mi proponesse di continuare a sperare, era troppo grande.

Non mi è mai piaciuto perdere tempo.

Ricordo che il mio ultimo allenamento pioveva.

Mia madre era contenta. Io ero confuso.

Con mio padre non parlavo più.

G. M.