"Sono cose che capitano, io non rimpiango niente". Manuel Pucciarelli, equilibrato com'è, guarda sempre avanti e mai indietro. Senza polemiche: “Non ho voluto approfondire la questione perché sono un professionista e non voglio parlar male di nessuno. Ringrazio tutti perché a Verona sono stato bene con giocatori e città”, racconta a gianlucadimarzio.com l’attaccante passato a gennaio al Dibba Al Fujairah.
© Credits Dibba FC
Arrivato a Verona nel 2017, a quasi trent’anni si è ritrovato fuori dal progetto tecnico del Chievo. Una sola presenza in quattro mesi, dopo un prestito al Pescara con tanto di gol lo scorso agosto nel play-out di ritorno con il Perugia: “Dopo la salvezza sarei tornato volentieri a inizio stagione, mi sono trovato benissimo in quei sei mesi. A gennaio invece non c’è stata nessuna opportunità”.
E così, per ritrovare il sorriso, Pucciarelli ha scelto gli Emirati Arabi Uniti dove a fine aprile concluderà l’esperienza durata tre mesi. Tre come i gol con il club della seconda divisone, segnati da centrocampista e con la maglia numero venti, la stessa dei tempi d’oro dell’Empoli: “Negli ultimi due anni avevo giocato poco, per motivi strani non mi ero più mosso dal Chievo ed era obbligatorio trovare qualcosa. Volevo fare un’esperienza all’estero e ho accettato subito. Il 24 giochiamo l’ultima partita, poi torno a casa”.
In Medio Oriente Pucciarelli, nello sport e nella vita, è tornato a vivere un po’ di normalità. Parola che oggi suona tanto strana. Specie in un paese in cui le tradizionali app di messaggistica istantanea sono censurate e anche mettersi in contatto può risultare complicato. Almeno la pandemia sembra però sotto controllo: “Hanno fatto tantissimi vaccini, è tutto aperto e ci sono pochi casi. Teniamo sempre le mascherine, però facciamo un po’ quello che vogliamo”.
A Dibba Al-Fujairah, tre ore a nord di Abu Dhabi, anche il calcio viene vissuto in maniera differente: “Meno pesante rispetto all’Italia, al campo arrivano tutti felici e contenti. Qui non tutti sono professionisti e molti giocatori locali hanno anche altre attività. Ci sono anche tantissimi brasiliani”. Un ambiente in cui Manuel si è subito integrato: “Per fortuna parlano tutti inglese. Da me si aspettavano tanto, per loro sono uno importante. Mi hanno accolto bene e hanno risolto ogni problema”.
Toscano di Montemurlo, Pucciarelli è cresciuto e ha debuttato con l’Empoli in Serie A nel 2014. Da piccolo, in camera, poster e maglia erano quelli di Shevchenko (LA STORIA). È stato pupillo di Sarri, poi di Giampaolo con un primo gol al ‘suo’ Milan “che ricordo come fosse oggi”.
Con gli azzurri 171 le presenze e 21 i gol, anni d’oro tra salvezze tranquille e record di vittorie. Prima dell’incredibile retrocessione del 2017, l’anno dell’impresa impossibile del Crotone di Davide Nicola ma anche del suicidio empolese. Sconfitto dal Palermo già retrocesso all’ultima di campionato, l’ultima anche di Pucciarelli: “Di Empoli ho ricordi stupendi, sono arrivato a dieci anni e andato via a venticinque. Abbiamo creato qualcosa di unico con Sarri e proseguito il percorso con Giampaolo. Poi è arrivata quella retrocessione inspiegabile: mi pesa ancora oggi, mai avrei voluto chiudere così. La salvezza era raggiunta, poi sono successe cose strane di cui lì per lì non ci siamo resi neanche conto. In quel momento sono iniziati i momenti difficili anche a livello personale”.
Le presenze con Sarri, al primo anno di A, furono 34, addirittura 38 su 38 con Giampaolo la stagione successiva: “Due allenatori forti. Sarri sarebbe rimasto, alla Juventus ha dimostrato tanto. Giampaolo ci è riuscito solo con la Sampdoria e mi dispiace tanto. Sono legatissimo a lui, l’ho sentito per tanto tempo ed è una persona d’oro. Ma si riprenderà: basta dargli fiducia, è un fenomeno”.
Le etichette non l'hanno aiutato durante le esperienze in panchina con Milan e Torino: “Ne basta una e ti pesa per tutta la carriera. Come sbagli una partita sei finito, è diventato un mondo così”.
Critiche che non hanno risparmiato neanche Pucciarelli, accusato a volte di segnare troppo poco. In campo e fuori ha risposto sempre con sacrificio e umiltà: “Non mi sono mai sentito un attaccante, giocavo lì solo per il tipo di lavoro che dovevo fare. Non è stato facile e mi sono adattato, per la squadra avrei fatto anche il terzino. E alla fine qualche gol l’ho fatto, solo a Roma e Juventus non ho segnato. Poi anche al Fantacalcio uno che giocava così tanto era sempre utile…”.
Due giocatori transitati da quell’Empoli tra il 2014 e il 2016 oggi sono su livelli top: “Non ho mai giocato con giocatori più talentuosi di Paredes e Zielinski. Facevamo un calcio bellissimo e mi sono divertito molto, per un giovane come me non c’era squadra migliore. Poi loro erano due fenomeni e già si sapeva che percorso avrebbero fatto”.
Proprio Zielinski e Pucciarelli regalarono all’Empoli nel 2016 una vittoria nel derby con la Fiorentina che al Castellani mancava da trent’anni: “Tra i momenti più belli insieme alle salvezze e alla promozione. Per chi tifa Empoli il derby è qualcosa di magico e lo senti già dalle giovanili”.
In attacco, quell’anno con Giampaolo, la coppia fissa era Pucciarelli-Maccarone: “Arrivai in prima squadra, c’erano lui e Tavano. A Empoli ce ne sono stati pochi così, anche fuori dal campo sono stati due esempi”.
Sì, perché quell’Empoli era soprattutto una squadra molto unita. Con le sue usanze condivise, come la pizza a fine partita nello spogliatoio: “Cenavamo tutti insieme e ci ritrovavamo ogni sera. Ho imparato a mie spese che nel calcio solo con un gruppo unito puoi raggiungere qualsiasi obiettivo. La società non ci faceva mancare nulla, e in campo noi andavamo a mille”.
Quel campo che Pucciarelli ha riassaggiato solo grazie agli Emirati Arabi Uniti, in attesa di una nuova avventura visto un contratto in scadenza con il Chievo che non verrà rinnovato: “Nella mia carriera ho sempre dato il massimo e mai pensato ad altro, sono rimasto altruista dentro e fuori senza prefissarmi obiettivi. Ora mi sono goduto quest’esperienza e non ho idea di cosa succederà in futuro. Intanto tornerò a lavorare per il Chievo, poi vedremo”. A trent’anni non è ancora il momento per spiegazioni e rimpianti.
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