Il Monza in Serie A per la prima volta in 110 anni di storia. Soldi spesi? Tanti, non è un segreto. Cuore? Molto, molto di più. Appena nove punti nelle prime sette giornate di campionato e undicesimo posto quando tutti a inizio stagione non avevano dubbi: “E’ la squadra più forte, vincerà facile”.
Poi la svolta, il traguardo ad un passo a Perugia, negli ultimi 90’. Padroni del proprio destino, vincere per festeggiare un traguardo storico. E invece nulla, con Ferrarini che colpisce a sei minuti dalla fine costringendo i ragazzi di Stroppa alla bolgia dei playoff.
Eccola la finale, un’altra partita da tutto o niente. Il Pisa dall’altra parte sembra indemoniato, vuole tornare all’Olimpico e a San Siro dopo 31 lunghi anni di assenza e un fallimento evitato per un soffio nel 2016. Torregrossa fa gol dopo 52 secondi nell’inferno dell’Arena Garibaldi, che fa tremare le gambe a Pirola, il più giovane di tutti. All’8’ poi è già 2-0, perché Hermansson – che nel curriculum ha una quindicina di partite in Europa League e un Europeo da sogno con la sua Islanda – raddoppia di testa sotto gli occhi attenti di Bonucci e Chiellini, i prof di Harvard della difesa presenti in tribuna.
Perdi un match point e subisci due break, poi rinasci. E’ calcio ma sembra tennis, è Pisa-Monza ma pare Nadal-Federer. Arrivano le risposte vincenti ai servizi potenti dei ragazzi di D’Angelo. Machin accorcia, lui che nel 2004 entra nel settore giovanile del Barcellona, dove starà per quattro anni. Osserverà da vicinissimo Zidane, Riquelme, Xavi. Poi a 15 anni farà anche un provino col Milan, che però non va a buon fine. Il cuore, si torna sempre lì. La squadra ce l’ha perché ce l’hanno tutti i suoi giocatori. Machin è arrivato al Monza nel gennaio del 2020 dopo una vagonata di maglie cambiate. Trapani, Lugano, Brescia, Pescara, Parma. Età? 25 anni. Una squadra diversa ogni sei mesi. Destino da nomade anche se da ragazzo vinceva da protagonista con la Roma Primavera e tutto gli sembrava facile. No, non lo è. Non lo è stata neanche questa promozione.
Christian Gytkjaer ha segnato prima il 2-2 e poi il 3-4 definitivo ai supplementari. E’ entrato al 72’, delle volte per scrivere la storia basta poco. Nel 2007, dopo che il Milan di Berlusconi e Galliani aveva strapazzato il Liverpool ad Atene, l’attaccante venne chiamato per un provino proprio dai Reds. Andò male anche a lui, tanto da restare in patria al Lyngby. Poi vari trasferimenti, infine i 65 gol in tre anni col il Lech Poznan. E’ arrivato al Monza da capocannoniere del campionato polacco, da lì una prima stagione deludente e tante critiche prima che conquistasse tutti con le sue rincorse e il suo sacrificio. Un vichingo dal cuore caldo, a Monza lo chiamano così.
La freddezza, invece, l’ha mantenuta Galliani lo scorso 31 agosto: una stampante funziona male, il contratto per portare Luca Marrone dal Crotone al Monza arriva solo sul gong della sessione di mercato. Mail inviata alle 20:00:13, poi la chiamata a Sky per rassicurare il giocatore: “E’ tutto valido, abbiamo l’autorizzazione. Sei dei nostri”. Luca a Pisa segna il gol del 3-3 all’inizio del primo supplementare.
Già, Berlusconi e Galliani. Il cuore è soprattutto il loro. L’idea di prendere il Monza nasce ad Arcore, durante un pranzo. Adriano, che da ragazzo si fece 20 ore di pullman per lo spareggio salvezza contro il Taranto, si avvicina all’orecchio dell’amico Silvio: “Ho saputo che i Colombo stanno vendendo agli americani…”. Quindi la classica risposta: “Adriano, vai e fai”.
Un ritorno al passato per l’ex ad del Milan, che ha iniziato proprio con quei colori la sua carriera nel calcio. Ha dedicato il trionfo alla mamma, che a cinque anni lo portava allo stadio tenendolo stretto per mano. Ha vinto tornando nella sua Itaca, proprio come Stroppa. L’allenatore della prima storica promozione in A a 17 anni era protagonista nel Milan Primavera di Capello e ogni tanto si univa alla prima squadra di Liedholm. Nei giorni in cui Berlusconi diventa presidente dei rossoneri lui fa le valigie e si trasferisce al Monza, dove dalla C sale in B giocandola da protagonista quando aveva solo 19 anni. Vincente a casa sua, come fece a Foggia. Destino. O meglio, cuore. Sì, il Monza ne ha avuto tanto.
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