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Maledetto martedì: la tragedia in volo della Chapecoense, quando la fatalità spezza i sogni del pallone

Ci sono notizie che non vorresti mai dare. E neppure leggere. Ti svegli senza il sorriso ripensando ai sogni di quei ragazzi che volavano con il sorriso verso la prima finale di Coppa Sudamericana della loro storia. La Chapecoense era una piccola grande favola del calcio brasiliano e non solo, protagonista di una cavalcata iniziata nel 2009 dalla quarta divisione e arrivata fino a qui. Fino al cielo di Medellin. Fino a quel volo che non dovevano neppure prendere se l’Aviazione brasiliana non gli avesse negato il charter. Fino a quella finale che, non fosse stato per un salvataggio miracoloso sulla linea nel finale della semifinale di ritorno contro il San Lorenzo, non avrebbero neppure giocato.

Ragazzi, promesse. Volti conosciuti e campioni europei, chissà, del domani. Quasi tutti brasiliani, talenti felici e promettenti guidati da un allenatore, Cajo Junior, che aveva fatto il giro del mondo prima di aiutare a scrivere la favola della Chapecoense. Chapecó, piccola città da 200mila abitanti che si era inserita nel calcio dei grandi. Che aveva bussato alla porta della Serie A brasiliana, che se l’era giocata contro potenze come Palmeiras, Santos e Flamengo. Ma alle favole non c’è sempre il lieto fine, purtroppo. Perché l’avversario che hanno affrontato prima dell’Atletico Nacional è stata la fatalità. Quella che, nel cielo vicino a Medellin, ha spezzato i loro sogni. Le foto dei sopravvissuti, quelle disperate di chi non è partito con la squadra stridono con i sorrisi immortalati su Snapchat a pochi minuti dal decollo. I selfie con i piloti, la foto di gruppo. Il volo della Chapecoense verso la finale d’andata si è trasformata in un’altra tragedia.

I brasiliani come il Grande Torino, quella squadra in quel maledetto 4 maggio del 1949 stava tornando dalla trasferta di Lisbona dopo un’amichevole contro il Benfica. Il destino quel giorno si portò via un gruppo capace di vincere cinque scudetti consecutivi e di dare alla Nazionale italiana dieci titolari. Il 6 febbraio del 1958 invece la fatalità spezzò i sogni di 8 giocatori del Manchester United: anche loro stavano rientrato da una trasferta, quella di Coppa dei Campioni a Belgrado. I loro sogni si schiantarono al decollo a Monaco di Baviera, erano i sogni di una squadra giovanissima che vinse tutto in Inghilterra e all’estero. Sogni spezzati pure quelli del Green Cross, squadra cilena che il 3 aprile del 1961 si schiantò contro un monte sulle Ande. Morirono 24 persone, 24 ragazzi. Come i 16 del “The Strongest La Paz”, squadra boliviana in lutto dopo un disastro aereo del 26 settembre 1969. Come un’altra squadra sudamericana, l’Allianz Lima: l’8 dicembre 1987 muoiono tutti i giocatori e lo staff della squadra in un incidente aereo sopra l’Oceano Pacifico. Ma la fatalità ha spezzato anche i sogni dello Zambia, quando il 28 aprile 1993 la Nazionale perde la vita in un incidente aereo al largo del Gabon.

Sogni spezzati, storie spazzate via. Destino, è la mano che ha scritto il finale di una favola che la Chapecoense avrebbe voluto scrivere di mano proprio. A Medellin o in casa sua, anche il ritorno non si sarebbe giocato nello stadio che ha costruito sogni e certezze della squadra. Ventiduemila ragazzi verdi che urlavano “Força Chape”. Questa favola, adesso, è tutta da riscrivere. La fatalità ha spezzato quando costruito, ha portato via quasi tutta la rosa, la dirigenza, lo staff. Ha salvato gli infortunati, quelli che adesso sono “superstiti” e che non credono a quello che è successo e poteva succedergli. Il destino ha amaramente scelto chi salvare. Per un portafogli dimenticato o una lesione muscolare. Fatalità che spezza la realtà. Una rima che, a Chapecó, non avrebbero voluto sentire. Non oggi, non a un passo da un lieto fine che, questa favola, meritava. Una notizia che non avremmo voluto dare.