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30 anni senza Yashin: genio di un ruolo, icona di due mondi

La forza dei grandissimi, in qualsiasi sfaccettatura dell’umanità, è sempre stata l’ebbrezza della prima volta. Il primo uomo sulla Luna, il primo maratoneta sotto le due ore: superarsi, superando ogni limite. Se poi il record rimane ineguagliato, ecco l’alone della leggenda.

E Lev Ivanovic Yashin, da ‘primo e unico’, ha fatto addirittura il bis. Mettendo d’accordo FIFA e ideologia marxista: il solo portiere di sempre a vincere il Pallone d’oro (1963), il solo sportivo della storia sovietica a ricevere la medaglia di Eroe del lavoro socialista (1989). Una parata dopo l’altra, senza mai perdere l’umiltà.

“La mia vita nel calcio è stata affascinante, molto interessante”, sorrideva in una delle ultime interviste prima di morire il 20 marzo di 30 anni fa. “Ma cosa si può dirne?”


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Parando bulloni

Già gli inizi sono avvolti nel mito. E la stessa propaganda di stato non avrebbe potuto immaginare incipit migliore: Yashin nasce a Mosca, nel 1929, figlio di operai dell’industria pesante nel pieno del primo piano quinquennale. La guerra accelera le tappe: gli uomini vengono chiamati al fronte, a 14 anni Lev è già che fatica in fabbrica. Sentori di una carriera. Forse aveva iniziato il padre per gioco, forse i compagni di lavoro: fatto sta che quando gli tirano viti e bulloni Yashin si dimostra formidabile nel prenderli al volo.

La scalata verso il pallone tuttavia sarà graduale. Riesce a entrare giovanissimo nella Dinamo Mosca, che all’epoca era una polisportiva patrocinata dal Ministero degli Interni. Ma l’esordio in prima squadra fu negativo, si dice addirittura macchiato da un gol subito direttamente da rinvio. Così Lev viene reinventato portiere della sezione di hockey su ghiaccio: si fa le ossa, vince addirittura la Coppa sovietica, aspetta. L’infortunio di Aleksej Chomic, numero uno titolarissimo della Dinamo. È il 1954. Il momento di Yashin.


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Reinventare un ruolo

Si comincia a parlare in tutte le Russie di quell’ex garzone di fabbrica, che in casacca rigorosamente scura blinda la porta della Dinamo. E qualche pezzo di campo in più: fino ad allora il portiere era sempre stato un elemento di gioco passivo, confinato a tuffarsi lungo la linea di porta. Yashin invece capisce che quell’esplosività può tornare utile anche nel cuore dell’area. Si lancia in uscita, sui cross, sfida gli attaccanti. È aggressivo: quasi si accartoccia sul pallone quando lo fa suo. Il resto lo fanno i riflessi innati. Da Ragno Nero, come presto viene ribattezzato.

Subito arriva la Nazionale, due anni dopo la rampa di lancio. Melbourne 1956. Le Olimpiadi sono ossigeno per l’Unione Sovietica, i cui carrarmati per le strade di Budapest avevano sconvolto l’opinione pubblica globale solo poche settimane prima. Un oro nel calcio è l’immagine che ci vuole per girare pagina. E di quell’oro Yashin diventa il simbolo: appena due gol subiti in tutto il torneo, fa muro anche in finale contro la Jugoslavia.


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È l’inizio dell’epopea, la guerra fredda si gioca anche qui. Se nella corsa allo spazio Gagarin fronteggia Armstrong, in quella al cuore della gente l’estremo difensore di Mosca, operaio e integerrimo, è chiamato a tenere testa a Hollywood e all’NBA. Eppure Yashin non finirà mai schiacciato dalla propaganda. La sua classe è talmente universale che Gordon Banks lo definirà ‘Gentleman’, che alla storica consegna del Pallone d’oro (dopo una stagione da 6 gol subiti in 27 partite) l’unico commento di Lev sarà: “Vladimir Beara è più forte di me”.

Vincerà tutto. 5 campionati sovietici, 3 coppe nazionali, l’Europeo del 1960 sfiorando il bis nel ’64 e il podio ai Mondiali due anni dopo. 800 partite giocate tra Dinamo e Nazionale, le sue uniche squadre in vent’anni di carriera. Di queste, ne avrebbe concluse oltre 200 a porta imbattuta parando più di 100 rigori. Numeri da leggenda, più che statistiche esatte.


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Che cosa resta di Yashin

Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin, non seppe dare altra spiegazione Sandro Mazzola, un giorno stregato anche lui dal Ragno Nero. “No”, risponderà Lev anni dopo. “La porta è enorme, parare un rigore è impossibile per un portiere. Se non sbaglia l’attaccante: nessun Yashin sarebbe in grado di intervenire su un tiro perfetto.

Sempre nella semplicità se ne andrà dal calcio e dalla vita. Tradito dal fumo e dall’alcol, vecchie abitudini di spogliatoio, che a Lev portarono via una gamba nel 1985. Tre anni più tardi fece in tempo ad accompagnare la sua Nazionale al secondo trionfo olimpico nel calcio, a Seul. Yashin si spense nel 1990 a soli 60 anni, pochi mesi prima di quell’Unione Sovietica che ne aveva contraddistinto ogni tappa.

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Ma anche in Russia, tutti i bambini che iniziano a giocare a calcio oggi partono tra i pali. Il premio FIFA al miglior portiere dei Mondiali, dal 1994, è intitolato a Lev. E 3442 Yashin è perfino il nome di un asteroide.

Quando lo scorso 22 ottobre Yashin avrebbe compiuto 90 anni, il portiere della Dinamo Mosca Anton Shunin è sceso in campo in divisa total black con tanto di coppola. Per un attimo è sembrato di tornare allo Stadio Lenin. Per un attimo è sembrato di rivedere il Ragno Nero. O forse, quell’attimo non ha mai smesso di battere.