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“Ci siamo anche noi”. Nations League, il Kosovo ce l’ha fatta

Ci sono anch’io, cantavano gli 883 nel 2002. All’epoca, lo Stato indipendente del Kosovo ancora non esisteva. E per 80 paesi dei 193 membri dell’ONU non esiste tuttora. Non parliamo solo di roccaforti autoritarie: tra questi ci sono la Spagna, la Grecia, la Slovacchia. Nemmeno il Vaticano ha preso una posizione ufficiale.

La nazionale di calcio però oggi esiste per tutti. E tutti ormai la conoscono. La parte formale del merito è ripartita tra federcalcio locale, UEFA e FIFA: il Kosovo vi è stato affiliato nel 2016 con una decisione senza precedenti, nonostante il fortissimo veto della federcalcio serba (e del governo: immaginatevi il polverone diplomatico). Quella sostanziale è invece di Bernard Challandes (l’unico non kosovaro di questa storia) e dei suoi ragazzi, che battendo ieri l’Azerbaigian hanno vinto il proprio gruppo di Nations League D da imbattuti.

Un traguardo storico, che consentirà al giovane Kosovo di disputare i playoff per Euro2020. Dopo le qualificazioni per l’ultimo campionato mondiale, dove i balcanici erano stati la Cenerentola del girone (1 punto in 10 partite), chi l’avrebbe mai detto? Di sicuro, Fadil Vokkri. Il vero artefice della favola Kosovo, tenace presidente della federcalcio sin da quando nel 2008 la piccola repubblica dichiarò l’indipendenza, da qualche mese non c’è più. Ma oggi è più vivo che mai: nel popolo che grazie a lui ha una nazionale da sostenere, nello stadio di Pristina che porta il suo nome, nella squadra che ha vinto sul campo. Lo stesso Challandes, ct del Kosovo da marzo, è stata l’ultima scelta di Vokkri. Una sorta di eredità sportiva.

“Volevamo vincere anche per lui”, ci aveva raccontato Samir Ujkani all’indomani della vittoria di settembre sulle Fær Øer, la prima di questa fantastica cavalcata. Parole da capitano vero, quelle del portiere con una carriera alle spalle nel nostro calcio (Novara, Palermo, Cremonese).Quando ci ritroviamo in nazionale siamo tutti fratelli e questa è la
forza che ci spinge a cercare di costruire un’identità
. Non soltanto per
arrivare alle vittorie ma per far sì che tutti vedano il Kosovo come
una squadra che gioca bene, che ha delle caratteristiche ben precise
.

Nemmeno due mesi dopo, i ‘fratelli di Kosovo’ ce l’hanno fatta. Dalla sostanza in mezzo al campo del laziale Berisha ai giovani talenti di Rashica e Zeneli, fino al silenzioso lavoro sotto porta di Muriqi: un popolo martoriato dalla storia ha finalmente trovato i propri eroi da sognare. Entrati anche loro nella storia, ma dalla parte giusta. Gridando al resto del mondo “Ci siamo anche noi”.

Francesco Gottardi

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