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Italia paese di santi e pensatori… e CT, ma i conti non tornano

Rabbia. Delusione. Frustrazione e sgomento. Una nazione intera aspettava con ansia il 24 marzo, tanto da rispondere presente quando l’Italia chiamò. Due anni di stadi chiusi e con capienze ridotte, poi ecco che Euro2020 ha riacceso la scintilla: contro la Macedonia richieste e richieste di biglietti, poi anche la proroga: dopo esattamente due anni (ultima volta sempre a Palermo) l’Italia poteva contare sulla spinta di uno stadio intero e con il 100% di capienza, un Barbera colorato, per una sera, d’azzurro anziché di rosa.

 

 

Italia, toccato il fondo

“Se la vittoria dell’Europeo a luglio era stata la mia gioia più bella sul piano professionale, questa è stata la mia più grande delusione, ha commentato il Ct Mancini al termine della gara. Le ‘Notti Magiche’ vissute tra giugno e luglio avevano portato una folata di freschezza e leggerezza, rianimando una nazione intera. 

 

 

Ma come tutte le belle cose, quel ricordo è durato pochi giorni come le rose. Se con la Svezia pensavamo d’aver toccato il punto più basso della nostra storia calcistica, la notte del Barbera vince, per distacco. Un cammino Mondiale in cui ci siamo fatti male da soli, perdendo l’umiltà e quel pizzico di spensieratezza che ci ha accompagnato in estate e diventando presuntuosi e calcolatori.

 

 

I conti non tornano

Nei mesi, nelle settimane e nei giorni scorsi chiunque ragionava: “Ci basterà vincere lì, fare due gol così, sperare che la Turchia qui e il Portogallo lì”. Siamo un paese di santi e pensatori, in cui un allenatore stabilisce quote scudetto e Champions, un Commissario tecnico calcola chi risparmiare e chi utilizzare. Presuntuosamente sì, perché il calcio insegna che c’è sempre un avversario da rispettare e sfidare con tutte le forze. E così capita che, mentre il Portogallo sfoderi tutto il suo arsenale contro la Turchia, l’Italia di Mancini si aggrappi ai calcoli. Tanti calciatori offensivi risparmiati per un’ipotetica finale, che non ci sarà mai. O meglio, ci sarà ma sarà una delle amichevoli più inutili della storia. Siamo un paese di santi e pensatori, ma questa volta i conti non tornano. E guarderemo – come quattro anni fa – un altro Mondiale senza quell’azzurro iconico. Che sbiadisce sempre più.

Leggi anche – Italia, nuovo anno zero: chi sono i giovani da cui ripartire

Pietro Agoglia

Ho lasciato il calcio giocato una domenica piovosa in un campo fangoso. Ma il richiamo era troppo forte: ho sostituito gli scarpini con la penna, una divisa con il computer e ora cerco di raccontarlo. Laureato, ma niente di serio. Quasi giornalista, la fumata bianca è vicina, ma mancano da definire i dettagli finali.

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