“Va bene dai, cominciamo”. E’ bastata questa istruzione di Ivan Juric per tornare sulla terra. Basta ricordi, basta spiegazioni, in un attimo torniamo a parlare di calcio. E la mente non può non andare a quella classifica di Serie A che vede il Genoa lassù, al comando. Due partite, due vittorie. Sei gol fatti e due subiti. Una partenza sprint che Juric analizza con una semplicità disarmante: “Penso che è appena iniziata, siamo contenti ma non c’è tanto altro da dire. Con il Cagliari e il Crotone speravamo di fare sei punti. Erano due partite alla nostra portata, lo sapevamo e abbiamo fatto bottino pieno. Nulla di più”. Secco, diretto, senza fronzoli. Erano due neopromosse e servivano due vittorie. Con un gioco offensivo, fatto di ritmo, abnegazione e velocità di palla. Contento quindi? “Ovviamente no. Per adesso sono contento a metà. Diciamo che la squadra fa quello che voglio a tratti”. Appunto.
Juric è perfezionista, ai limiti del maniacale. Ma non integralista, ha imparato ad aprirsi alle novità, accettando insegnamenti anche da chi dovrebbe solamente apprendere i suoi dettami: “Quando ho cominciato ad allenare da solo ero molto più rigido sugli schemi. E adesso sto imparando anche ad apprendere dai giocatori. Ogni giocatore ti porta qualcosa di nuovo. Ad esempio Palladino lo scorso anno mi ha aperto gli occhi su alcuni movimenti dell’attacco. Lui è un calciatore con una grande intelligenza calcistica. A Crotone c’erano degli schemi che le squadre stavano iniziando a capire e lui da solo ha iniziato a fare altre cose per mettere in difficoltà l’avversario. E io l’ho accettato senza problemi”. Quindi libertà di espressione del proprio talento? “No, il mio sistema di gioco rimane – interrompe subito – solamente non costringo i giocatori a fare cose che non gli appartengono”. Una lettura diversa, ma sostanziale, in pieno stile Juric. Rigidità ma non costrizione. In campo come fuori. Libera espressione nei limiti delle regole.
Ivan Juric - fonte Instagram Genoa CFC
Quelle che ha voluto introdurre nella ‘sua’ Pegli. I giocatori, prima dell’allenamento, devono fare colazione insieme, conoscersi, parlare e condividere. E allo stesso modo il pranzo. Nel mezzo c’è il campo, dove si lavora, e anche molto forte: “Sul campo pretendo molto”. Intensità, qualità e serietà sono queste le caratteristiche principali. Si rema tutti nella stessa direzione e lo si fa come un gruppo. Poche regole ma chiare. Poi su quel che accade fuori Juric non mette bocca: “Do libertà completa ai giocatori di fare quel che vogliono fuori dal campo. Nel vestirsi, nel comportarsi, nell’esprimersi, ovviamente nei limiti”. Limiti che i giocatori devono porsi autonomamente, “perché sono loro a dover imparare dai loro comportamenti, anche dagli errori. Ma se vogliono essere professionisti devono capire da soli quando fare certe cose e quando non farle. Voglio responsabilizzarli. Solo così si rendono conto, perchè poi il campo non mente. E nel calciatore sale il senso di colpa quando è il campo a dare il giudizio finale”. Liberale, flessibile, ma soprattutto rigoroso docente di un modello etico. “Non serve mettere troppi paletti”, ammette. Lui si definisce “aperto. Mi piace parlare e ascoltare i ragazzi”. Le regole ci sono ma non sono costrizioni, sta all’intelligenza del giocatore comprenderle e farle proprie. Perché è solo grazie al mix di regole e libertà che un giocatore può esprimersi al massimo. Troppe restrizioni sono deleterie, perché il giocatore ha bisogno dei suoi spazi per esprimere la sua personalità, che in un gruppo multiculturale è fondamentale: “Ognuno è diverso. I sud americani hanno un loro stile di vita. Come posso chiedere ad un francese di comportarsi come un italiano? E poi gli stessi italiani sono diversi. Quelli del nord, quelli del sud. Ognuno deve sentirsi a proprio agio. Credo sia giusto così”. Un modello etico che sfocia in pragmatismo: “Perché alla fine cosa è importante? Avere un grande spirito di gruppo, lottare tutti insieme, allenarsi bene per raggiungere lo stesso obiettivo. E’ il campo che parla e giudica”.
☕️ La giornata inizia con l'ormai consueta colazione a Villa Rostan.
Una foto pubblicata da Genoa CFC (@genoacfcofficial) in data:
E il campo racconta un Genoa offensivo e divertente. Ma Juric sa bene quanto conti la difesa, soprattutto in Serie A: “Una fase cruciale del gioco è la perdita del pallone. Lì fai il salto di qualità. Il pressing alto è fondamentale, ma poi serve intelligenza nello ‘scappare’ subito per non subire gli spazi aperti. Quando capisci bene la transizione negativa diventi forte”. Juric usa molto questo termine. “A Crotone eravamo diventati forti proprio in questa cosa”. E il suo Genoa vuole diventare forte, magari sognando in grande. E qui nuovamente arriva lo stop. “Sì, possiamo sognare, i miracoli a volte succedono, ma non nel calcio italiano. C’è una differenza economica, figlia dei diritti televisivi, troppo ampia. Il gap con quelle 6-7 squadre lassù non si può colmare ma la salvezza è un obiettivo che da solo non può soddisfare la piazza. Questo è un problema di tutte le squadre sotto alle ‘grandi’. Perché dire «vogliamo la parte sinistra della classifica», che obiettivo è? Cosa ti dà arrivare settimo, ottavo o nono? Nulla”. Allora qual è l’obiettivo reale del Genoa di Juric? “Vorrei che la gente si divertisse a vedere il Genoa e possa riconoscersi con questa squadra. I tifosi vogliono emozioni”. Riconoscibilità, altro termine importante nello Juric pensiero. Tutti devono remare dalla stessa parte. Società, giocatori e allenatore.
Ecco l’allenatore, forse la vera stella di questo Genoa. Definito da tutti il personaggio del momento: “Io personaggio? Ma no. Ho una vita normale, è venuto tutto molto naturale nella mia vita. Non mi vedo proprio un personaggio”. Non personaggio, ma quantomeno ‘diverso’ in un mondo del calcio molto standardizzato. E l’appiattimento extra calcistico di molti personaggi del mondo del pallone “non tutti eh, mi raccomando” sembra non andargli giù: “Per un calciatore non è facile svilupparsi bene. E’ circondato da un mondo che non è reale. Viene trattato in modo speciale, frequentano tutti le stesse persone, gli stessi posti e questo li porta a non aprire la loro mente, a non conoscere cose diverse. E non riescono a crescere in questo contesto. Sembra contradditorio ma è così”. Lui è stato il calciatore che nei momenti di relax viveva i vicoli di Genova sorseggiando una birra in mezzo alla gente e ora è cambiato? “Direi di no. Leggo un buon libro, a volte mi concedo una cena fuori, ma nulla più. E poi la musica metal, ne ascolto molta, continuo ad andare ai concerti appena posso. Ma sono una persona normale”. Che poi tutta questa normalità non c’è in un allenatore che in tre anni di attività, ha mostrato solo miracoli calcistici. Mantova, Crotone e ora Genoa, con una partenza che in Liguria non si vedeva da tempo.
E un grazie Juric lo riserva ai suoi ragazzi: “Sono un grande gruppo. Hanno voglia di apprendere e di lavorare. Sono molto contento di loro”. E poi si sofferma sui singoli: “Pavoletti è un grande attaccante d’area. Lì è devastante. E poi è un ragazzo splendido. Mai in carriera ho visto una persona così solare, sempre sorridente e veramente attaccato alla maglia”. Un attaccamento al Genoa dimostrato anche in sede di calciomercato: “Ha rifiutato contratti più ricchi per rimanere con noi. Sono davvero pochi i giocatori come lui”. Ocampos invece è una scommessa che Juric vuole vincere: “E’ un ragazzo di talento, ma deve lavorare. Gioca nello stesso ruolo che aveva Palladino nel mio Crotone e sto provando a trasmettergli quello che Raffaele mi ha insegnato lo scorso anno”. Giovani in rampa di lancio come Simeone: “E’ molto interessante. E’ con noi da poco ma ha voglia di apprendere. In futuro potrà raccogliere l’eredità di Pavo e diventare il futuro attaccante centrale del Genoa”. Alla fine solo il campo dirà dove può arrivare il Genoa. Magari oltre quella parte sinistra della classifica. L’Europa è un sogno e a volte "i miracoli succedono".