“Verona è pazzia”, dice il tifoso con la numero 14 e il cognome ‘Aglietti' stampato sulla schiena. Nessun omonimo. Quello che ieri sera stava festeggiando la promozione in Serie A al Bentegodi davanti a un fiume di bandiere gialloblù ha anche giocato con quei colori addosso, tra il 1997 e il 2000. Motivo per cui la società, mercoledì 1 maggio, dopo la sconfitta casalinga con il Livorno, ha scelto proprio lui per proseguire il lavoro iniziato con Grosso: “Conosce l’ambiente”.
In 7 partite Aglietti ha perso solo contro il Cittadella (alla prima e alla penultima) ma era l’ultima quella decisiva che contava, ovvero la finale playoff. "Verona è esaltazione ma anche disperazione, poi è orgoglio e sofferenza. Verona è avere paura ma saper ritrovare il carattere” aggiunge il saggio n.14 in questione che fissa l’Arena in fiamme (sono solo fumogeni, tranquilli). Non dimentica la sua stagione da ultras: al 53’ dell’ultima sfida di campionato, contro Foggia, in casa, il Verona era fuori dai playoff per gol di Iemmello. E poi? E poi semplicemente Samuele Di Carmine: doppietta. Più tre gol (super-gol) nelle fasi finali, giocate da assoluto protagonista. L’ex attaccante del Perugia è stato, a tutti i livelli, il colpo estivo del club: pagato tanto perché in lui si è riposto tantissimo. E’ stato preso per tornare subito, immediatamente, in Serie A. Detto, fatto. Nonostante i tanti infortuni stagionali che lo hanno frenato ma non ucciso, il buon ’Sam’ ha lasciato il segno con ben 11 reti totali. La convivenza con Pazzini? Nessun caso, è tutto molto più semplice di quanto sembra: ai sorrisi in spogliatoio, che certificano la ‘forza del gruppo’, basta aggiungere altri gol, 13, che sono quelli del ‘Pazzo’. Un professionista serio e vero fino alla fine, che si è sempre fatto trovare pronto.
La rosa costruita dal giovanissimo (39 anni, uno dei più giovani a realizzare ‘il salto’ nella massima categoria) direttore sportivo Tony D’Amico, tra l’altro al suo primo anno in B, era da Serie A e il risultato finale lo ha confermato. Qualità in tutti i reparti, mix di giovani (Tupta, Danzi, Kambulla…) e profili più esperti. Matos il primo acquisto della gestione, Liam Henderson e Pawel Dawidowicz gli innesti strappati alla concorrenza: sullo scozzese c’erano tante squadre, anche di categorie superiori, ma dopo tre giorni ‘barricati’ negli uffici del Verona il giocatore ha detto sì. Per Dawidowicz invece sorpasso e contro-sorpasso sul Palermo, che alla fine è rimasto beffato e senza gigante polacco. Vitale (assist contro il Cittadella ieri), Faraoni (tre gol) e Di Gaudio (playoff da leader) gli innesti giusti al momento giusto, ovvero a gennaio, perché hanno saputo ‘rendere’ proprio quando serviva.
Quindi stagione (e operato sportivo) tutt’altro che fallimentare, come si mormorava dopo il KO interno con il Livorno, e scelte mai prese per caso: non è per nulla un caso (scontato nel pallone non c’è davvero nulla e le difficoltà sono per tutti) la promozione finale conquistata sul campo con voglia e sudore, esattamente 12 mesi dopo una brutta retrocessione in B. Perché Verona è ‘pazza’ ma non sprovveduta. Conosce la sua forza e ha saputo rialzarsi sempre. Verona è orgoglio e sofferenza. Competenza. Ma soprattutto Serie A.