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Data: 28/01/2017 -

Verona, Pazzini: "Serie B? Una squadra in A l'avrei trovata, ma non potevo 'scappare' "

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Diciotto presenze e sedici gol per il bomber "illegale" della serie B: stagione stupenda per Giampaolo Pazzini. Che ci fa nella serie cadetta un goleador del genere? A questa e a tante altre domande ha risposto il "Pazzo" nel corso di una lunga intervista concessa a La Gazzetta dello Sport:

"Sono tornato in B invece di scappare perché quella sarebbe stata la strada più semplice: l’avrebbero fatto tutti. Una squadra di A l’avrei trovata, ma non potevo lasciare un ricordo così brutto. Mi è scattata una molla: far ricredere tanta gente e farne tacere altra. Non mi sono mai sentito un giocatore di B, ma sono qui per scelta e non per caso: la B può far bene anche a 32 anni, non solo a 19 come quando debuttai. Allora era una Serie A-2, ora contano di più corsa, agonismo e cattiveria, si gioca in stadi “ignoranti”, ci sono meno telecamere, vale tutto. C’è anche meno qualità, sì: ma il livello tecnico si è abbassato pure in A. Premier? Si parlò di Everton e West Ham, e tornassi indietro magari ci penserei: lì arrivano tanti cross, i difensori sono molto grossi ma io so come si fa a rubare il tempo. E se mi chiamassero dalla Cina? Il denaro è importante, essere contento di più: non puoi fare una cosa solo per guadagno, altrimenti non te la godi. Però oggi loro ricordano l’Italia di trent’anni fa: i soldi spingono sì".

Parole al miele per Cassano: "Antonio? La mia fabbrica di assist. Lui me lo diceva: 'Io godo più a farti segnare che a fare gol'. E io: 'Antò, per me va benissimo così'. I nostri sms nell’agosto 2012? Lui: 'Per farti andare al Milan sono dovuto andare all’Inter'. Io: 'Per farti tornare in prima pagina, hai dovuto essere scambiato con me'. Per i tifosi che si perdono lo spettacolo è un peccato che non giochi da mesi, ma con Cassano è inutile parlare di rimpianti: poteva fare 15 anni nel Real Madrid, eppure il suo bello è stato essere così, nel bene e nel male. E’ un po’ che non lo sento: non so come finirà, ma troppo lontano, tipo in Cina, non ce lo vedo proprio". Tra i momenti memorabili la tripletta di Wembley con l'Under 21, il giorno dell'inaugurazione, il 24 marzo 2007: "E' un ricordo meraviglioso, ma pure un rimpianto. Quando ero all’Inter mi chiamò il museo di Wembley: volevano le scarpe di quella partita, ma siccome sono gelosissimo delle mie cose del calcio dissi no. Avrei dovuto dargliele: magari sono ancora in tempo, cercherò i loro recapiti per rimediare. Di quella partita ricordo una vigilia lunghissima. Tutta la settimana a dirci fra noi: chi segnerà il primo gol? Poi le piccole cose, tipo il nostro pullman che fatica ad entrare perché la porta d’ingresso allo stadio è piccolissima. E noi: “Ma come, è appena inaugurato: farla un po’ più grande no? ".

Pazzini ha vinto troppo poco? "Più che per aver vinto poco, mi spiace non aver avuto tante occasioni per vincere: ho sempre dato tutto ma potevo essere più fortunato, perché se non sei uno di quei 5-6 giocatori top a prescindere da chi li allena, è l’allenatore che ti fa fare la differenza. E nei momenti decisivi della carriera non ho avuto l’aiuto che mi sarebbe servito a crescere e a fare bene. Allenatori? Al primo posto Allegri e lo ribadisco: è quello che ricordo con più piacere. Da toscani ci si intendeva e aveva un’enorme serenità nel gestire lo spogliatoio. Inzaghi mi usava 5’-10’ anche se stavo benissimo e da un centravanti come lui non mi sarei aspettato che giocasse senza punte. Prandelli? Sul campo uno dei più bravi, poi però diceva una cosa in sala stampa e ne faceva un’altra: male, io preferisco un bel 'Non mi piaci, non ti faccio giocare'. Speravo che il feeling si riaggiustasse in Nazionale e invece lì se possibile si comportò anche peggio. Vedere l’Europeo 2012 in tv fu dura: non lo meritavo, e non perché avevo segnato il gol-qualificazione, ma perché ero parte di quel gruppo e avevo fatto sempre il mio dovere. E invece: neanche nei 30, e senza una parola di spiegazione di Prandelli. C’è di più: tre mesi dopo feci una tripletta con il Milan, mi convocò di nuovo, e poi mi mandò in tribuna: da diventare matto. Io non ho mai preso da parte qualcuno per chiedere spiegazioni, non ho mai telefonato a un presidente, a un d.g. o a un d.s.: ne sono orgoglioso ma, tornando indietro, forse avrei dovuto dirgli qualcosa invece di ingoiare, lavorare e basta".

Pazzo e scaramanzia: "La vera scaramanzia in realtà è non fare più foto posate con il gesto delle due dita sotto gli occhi: lo misero in uno spot Fifa, le cose cominciarono ad andare malissimo e mi dissi “Mai più”. La mia mania è più che altro fare cose ripetute, è anche un modo per “preparare” le partite: sempre lo stesso parcheggio, le stesse cose alla stessa ora, finché si vince la stessa camicia bianca, da anni la appendo nell’armadietto come una reliquia e se il collo diventa un po’ nero pazienza. La Smart nera tamarra invece era per ridere: aveva due trombe pazzesche, una meravigliosa con il verso della mucca. Purtroppo non ce l’ho più: l’ha distrutta mio nipote Alessio".

Altro momento memorabile? La doppietta del 25 aprile 2010, che costò lo scudetto alla Roma: "La sera della doppietta alla Roma ero a cena in un ristorante vicino allo stadio. Ad un certo punto vedo il proprietario bianco in faccia: “Vai in hotel di corsa”, e mi fece uscire da dietro. Fuori c’era un po’ di elettricità... Ad ogni ritorno all’Olimpico mi hanno affogato di fischi, tranne che per Lazio-Samp del campionato dopo: la curva mi consegnò una targa con su scritto 'Con riconoscenza0'. E pensare che quella partita non dovevo giocarla: due turni dopo c’era lo scontro diretto per la Champions con il Palermo, la domenica prima avevo segnato al Milan e visto che ero diffidato stavo per togliermi la maglia, ma un compagno me la tirò giù. Toni me lo rinfaccia sempre, invece Ranieri mi disse che lo scudetto l’avevano perso contro il Livorno".

Cosa farà Pazzini da "grande"? "Firmare un contratto che scadrà nel 2020 è stata una scelta che ho fatto non pensando alla categoria, e comunque non sono sicuro di giocare davvero fino ad allora. Ormai sono in questo mondo da quasi quindici anni, credo di aver capito quasi tutto di come funzionano le cose nel calcio: vivendolo dall’interno un po’di cose brutte le vedi anche se non vuoi, un po’ di disamore ti viene per forza e il resto lo fa il fisico, che ogni tanto lancia qualche segnale. Una cosa è sicura: non mi trascinerò fino al 2020 a fare figure meschine solo perché ho un contratto: voglio lasciare con il ricordo di un’annata bella e sarò io a dire basta, non quella firma che ho messo".



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