In Premier League ci ha passato metà della sua carriera calcistica Robin Van Persie. Prima all'Arsenal di Wenger per otto stagioni, poi al Manchester United dove ha vissuto la fine dell'era Ferguson e l'inizio della nuova epoca del club senza la guida dell'allenatore scozzese. In totale: 280 presenze, 144 gol e 65 assist per l'attaccante olandese. numeri importanti che lo hanno reso anche uno degli stranieri più prolifici della Premier, ma nonostante questo non ha un bel ricordo del campionato inglese.
Ora ha 35 anni e gioca nel Feyenoord squadra dove aveva iniziato a mettersi in mostra come calciatore e "a casa sua" il rapporto con i tifosi avversari è totalmente diverso rispetto a quello a cui era abituato in Inghilterra. Nei suoi anni di Premier League, infatti, il problema maggiore - come racconta in un'intervista al Mirror - non era il rapporto con gli allenatori, i compagni di squadra o qualche dirigente, ma con i fan avversari che lo fischiavano costantemente e, a distanza di anni, racconta quanto per lui è stato difficile sopportare quei fischi:
“In Inghilterra ho subito costanti insulti, grida e fischi ad ogni partita fuori casa. E' stato così sempre in tutti e undici gli anni che ho passato in Premier League. Oggi quando gioco in trasferta è molto più piacevole. Quella che sto vivendo qui in Eredivise è una bellissima esperienza, dopo quegli anni in Inghilterra. Avevo dimenticato che cosa significasse ricevere applausi in altri stadi… Da quando sono tornato in Olanda, dove non giocavo da 14 anni, mi sono reso conto di quanto sia meraviglioso essere rispettato dai tifosi delle altre squadre".
Una situazione pesante e difficile da gestire anche per un campione come lui che in carriera è stato capace di segnare più di 260 gol nelle maggiori competizioni per club, senza contare la nazionale olandese - di cui è stato anche capitano - dove ha segnato 50 gol in 102 presenze: "Quando ripenso a ciò che mi sono lasciato alle spalle e alle cose che ho vissuto in Inghilterra, la prima cosa che mi viene in mente è che è stato davvero pesante. Ma me ne sono reso conto quando me ne sono andato, non ero consapevole quando ero lì". Una pesantezza nel fare il proprio lavoro accresciuta anche dalle stancanti e lunghe trasferte oltre che dai tifosi: "Viaggiavamo continuamente ed è stata una specie di gara passare da una partita all’altra. Non c’è mai stata una pausa, si giocava sempre ai ritmi più alti possibili. Ogni anno che ho vissuto in Inghilterra, è stato come una corsa sulle montagne russe".