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Data: 15/02/2021 -

Raccuglia, l’italiano d’Oceania: “Le Samoa, la Lazio e il sogno da allenatore"

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Ad Auckland, in Nuova Zelanda, c’è un allenatore torinese che tifa Lazio e sogna l’Italia. Partito dalla Danimarca, è passato anche dalle Isole Samoa prima di diventare direttore tecnico del Bay Olympic: “Ma oggi mi mancano il profumo dell’erba e il mio Paese”.
Ad Auckland, in Nuova Zelanda, c’è un allenatore torinese che tifa Lazio e sogna l’Italia. Partito dalla Danimarca, è passato anche dalle Isole Samoa prima di diventare direttore tecnico del Bay Olympic: “Ma oggi mi mancano il profumo dell’erba e il mio Paese”.

“Controlla ciò che puoi controllare e dimentica il resto”. Valerio Raccuglia, a 46 anni, ne ha fatto il suo mantra. Da dieci ha deciso di costruire la sua vita ad Auckland, 18mila kilometri e 12 ore di fuso orario da Leinì, la sua città natale alle porte di Torino.

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Da due è direttore tecnico dei neozelandesi del Bay Olympic. Lo chiamiamo di mattina, risponde quando da lui è già sera. La vita a quelle latitudini scorre al contrario, non solo per l’orario: “Ad Auckland è il primo giorno di lockdown, l’ultimo era stato per tre settimane ad agosto. Sono bastati tre casi in una famiglia in città per chiudere, se questo virus arriva nelle isole è un bel casino”, racconta a gianlucadimarzio.com. L’italiano è rimasto perfetto, l’accento ormai è un po’ inglese.

La Nuova Zelanda, dove il sole sorge prima di ogni altro luogo, non è solo terra incontaminata con il 95% della popolazione composta da animali. Le difficoltà quotidiane non mancano: “Auckland è una città grande, più occidentale, dove non manca il caos e la vita è cara. Il clima è quello della Sicilia, ma le case sono fredde: non c’è isolamento termico, per scaldarci abbiamo solo una stufa a legna”.

E la nostalgia di quella casa tanto lontana si fa sentire un po’ di più: “Passo diverse serate a discutere del futuro con mia moglie. Sono successe un paio di cose qui che non mi sono piaciute e gli allenamenti sul prato mi mancano. Abbiamo pensato di tornare in Italia, ma non è facile”. Una chiamata di certo aiuterebbe: “Io continuo a lavorare, allenare in Italia sarebbe un sogno”.

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La storia

Finita la carriera calcistica a 28 anni per un infortunio al ginocchio, ha iniziato dalla Danimarca: “Dopo l’operazione ho cominciato a guardare le partite con un amico che faceva il capo scout in prima divisione. Licenziarono l’allenatore e io diventai il suo assistente. Feci la gavetta, presi i vari patentini e poi a Natale mandarono via anche noi”, ricorda con quel sorriso che non ha mai perso.

Tutto da rifare, ancora una volta: “Mi aveva contattato una squadra scozzese. Ne ho parlato con mia moglie, ma abbiamo pensato che la Scozia fosse un po’ troppo grigia. Così abbiamo scelto la Nuova Zelanda, peccato che a Wellington abbiamo trovato ancora più vento e freddo”. Ma anche belle soddisfazioni: “Saremmo dovuti restare solo un anno, invece furono sei. Ho vinto due campionati regionali tra il 2013 e il 2014 con i Miramar Rangers e lavorato da video analyst con i Wellington Phoenix nella serie professionistica in Australia. Qui è nata anche l’ultima figlia, ci ho lasciato un pezzo di cuore”.

Le Samoa

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Come alle Isole Samoa, arcipelago paradisiaco nel cuore del Pacifico. Raccuglia, grazie a un’offerta arrivata nel 2017, ha lavorato anche qui: “Un’esperienza splendida in cui mi sono fatto anche tanti amici. Ero direttore tecnico, ma intanto allenavo Under 20 maschile e Under 18 femminile oltre ad aiutare l’Under 17 e gli allenatori locali ad apprendere nuovi metodi di lavoro”.  

Anche se con ritmi un po’ diversi dal solito: “Quando ci lamentiamo in Italia, bisognerebbe fare un giro alle Samoa. Arrivavano in ufficio la mattina, uscivano e tornavano alle quattro di pomeriggio. Non sapevi dove fossero andati e i documenti che dovevano essere inviati quel giorno restavano sulla scrivania finché non se ne occupava qualcun altro”.

Alle Samoa ha dovuto rinunciare anche alla puntualità: “Avevamo un trial per le ragazze Under 17 e io dovevo partire per le Hawaii così mi raccomandai di iniziare massimo alle quattro. Finii alle sei meno venti, arrivò una ragazza e cominciò a cambiarsi. Le chiesi: ‘Che stai facendo?’. ‘Mi devi guardare giocare’, rispose. Alle quattro non aveva voglia, ovviamente perse quell’opportunità”.

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In Oceania, dove la palla con cui si gioca è solitamente ovale, il movimento calcistico è comunque in crescita. Raccuglia, nello staff di Des Buckingham, ha partecipato con la Nuova Zelanda al Mondiale Under 20 in Polonia: “Per un momento i giocatori di calcio hanno superato per numero quelli di rugby. Anche le Samoa hanno potenzialità, ci sono grandi atleti. Con il Bay Olimpic il sogno sarebbe giocare la Champions League e la Coppa del mondo per club, ma resterà tale perché le restrizioni non ci permettono di viaggiare”.

L’Italia

Il legame con l’Italia passa anche attraverso il calcio. Raccuglia conserva gelosamente una foto scattata a Londra durante la Fifa Football Conference del 2018 con il ct Roberto Mancini: “Non so per quale ordine, ma l’Italia era seduta davanti alle Samoa e ne ho approfittato. Sentire parlare allenatori di quel calibro è stata un’esperienza incredibile. Chiesero a Didier Deschamps dell’eliminazione dei campioni del mondo del Germania, Joachim Löw si alzò e disse: 'Aspettate, io ero in panchina e tocca a me spiegarla'.

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Seguire la Serie A è complicato: “Mi tengo informato e guardo le partite la mattina presto, le altre sono tutte di notte”. Tanto meglio se a giocare in serale in Italia è la Lazio: “In Danimarca seguivo spesso anche il Torino e lo scorso anno, quando sono tornato a trovare i miei genitori, l’ho visto anche allo stadio in Coppa Italia contro il Genoa. A Roma ho vissuto nel 2003, era il primo anno di Mancini alla Lazio e quell’anno ho perso solo l’esordio con il Chievo e altre tre partite quando ero fuori per lavoro”.

Una passione nata da piccolo: “Era la stagione 1981/82 e avevo otto anni. Mio padre era abbonato con la Juventus, mio zio con il Torino e mi portavano allo stadio tutte le domeniche. Così facemmo una scommessa a cena: a fine anno avrei dovuto scegliere quale squadra tifare. A quei tempi la Lazio era in Serie B. Sarà perché mi è sempre piaciuto stare dalla parte degli ‘indiani’, sarà per i colori, eppure alla fine diventai laziale. Fu ancora più bello perché il mio amico dalla nascita è della Roma”.

E né l’età né la distanza possono fermare gli sfottò: “Non si faceva più sentire dal derby. Ho iniziato a fine primo tempo e gli ho mandato messaggi per una settimana, si alzava la mattina e si trovava una decina di foto e video. Ha dovuto chiedere a mia mamma di smettere, il calcio è anche questo. Devo ancora vedere gli highlights della sconfitta con l’Inter, quando perdiamo non mi piace come quando lo faccio per lavoro...”. Anche così l’Italia è meno lontana.



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