Sabato sera, dopo 45’, la tentazione di spegnere la tv era comprensibile. Il Valencia era avanti 2-0 al Wanda Metropolitano, dove il peggior Atlético della stagione si trascinava per il campo, come se avesse già accettato la propria sorte. L’esito pareva già scritto. Chi ha avuto fede nel calcio e non ha cambiato canale, però, è stato premiato: gli uomini di Simeone hanno dato vita ad una rimonta epica e, superato il 90’, hanno ribaltato il risultato. Un 3-2 da film, che per i colchoneros potrebbe rappresentare una svolta.
Mentre Simeone si portava le mani in faccia, sopraffatto dall’emozione dell’ultimo gol di Hermoso, incitava il suo popolo e stritolava d’amore i suoi soldati, José Bordalás, allenatore avversario, abbandonava il tunnel con la faccia contratta dalla rabbia. È uno che quando perde la prende male, molto male, e dopo una rimonta così, in cui è stato il Valencia a regalare la sopravvivenza a un Atleti indifeso, non dev’essere stato amichevole con i suoi, nello spogliatoio.
Bordalás, in Spagna, è riconosciuto per avere uno stile di gioco aggressivo, quasi militaristico, ma la sfilza di “0” nelle statistiche offensive dei suoi nel secondo tempo non può essere giustificata da alcuna filosofia. Il Valencia ha abbandonato il campo, e “non è la prima volta che succede”, ha segnalato Hugo Duro. Degli ultimi 12 punti in ballo, i ché se ne sono portati via solo uno.
“Abbiamo bisogno di aiuto”
In conferenza, però, l’allenatore non ha parlato solo di campo. “Questa squadra ha bisogno di aiuto… e se non arriva ce la passeremo male”. In effetti, nel secondo tempo il Cholo ha potuto inserire giocatori per 85 milioni di valore, mentre il Valencia meno di 20 (stime di Transfermarkt). “Abbiamo dovuto chiedere una mano a dei ragazzini. L’abbiamo pagato molto caro, c’è mancata esperienza e mestiere”.
Il messaggio è chiaro: Bordalás è stufo delle politiche restrittive della proprietà, la Meriton Holding di Peter Lim, che da qualche anno ha deciso di chiudere i rubinetti agli investimenti per avere un club a costo zero. Anche al prezzo della competitività: il caso studio più eloquente è l’addio del capitano Dani Parejo, regalato al Villarreal pur di non pagare lo stipendio ad un ultratrentenne (ma ancora ultravalido). Fuori dal rettangolo verde, anche progetti come il nuovo Mestalla vengono costantemente rinviati, ormai da anni.
Bordalás sapeva cosa trovava quando è arrivato quest’estate. Le dichiarazioni degli ultimi mesi, intermittenti ma contundenti, tuttavia raccontano che la società meno spendacciona di Spagna abbia disatteso anche le più magre aspettative. “E se poi se ne vanno pure i giocatori, saremo addirittura più deboli”, ha rincarato nella conferenza stampa del fine settimana, con una faccia fra l’esasperazione e la rassegnazione.
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Valencia non ci sta
Crepe su crepe che si aprono in una relazione già complicata. A guardare la classifica, sembrerebbe anche strano: l’allenatore sta facendo comunque un ottimo lavoro e l’Europa rimane ad una manciata di punti. La sensazione dilagante nel valencianismo, però, è che il modello di business della proprietà stia calpestando la storia del quinto club più titolato di Spagna, situandolo volontariamente in un purgatorio a cui non è abituato.
“Il tuo giocattolo è il nostro sentimento”, dicevano degli striscioni mostrati in delle proteste di massa, in cui un mese fa 15.000 tifosi si sono riuniti al grido di “Lim, vattene!”. C’era addirittura anche una leggenda del passato come Cañizares a denunciare la spirale di impoverimento tecnico. Ormai alle manifestazioni di dissenso si è aggiunto ufficialmente anche Bordalás. Lui non scenderà in piazza, ma rimane uno che, quando le cose non vanno la prende male, molto male. Con tutto quello che hanno sentito, se i muri dello spogliatoio avessero un portafogli, gli comprerebbero subito tutto quello che vuole. Cosa farà invece Lim per ricomporre una relazione compromessa? Non chiedetelo agli addetti ai lavori, se volete una risposta ottimistica.