Citazione Spallettiana da rewind, tornando ai tempi di Roma, perfettamente applicabile al momento attuale: “Uomini forti, destini forti”. La seconda parte, riferita alla debolezza, può essere almeno accantonata per un attimo: almeno per tre casi specifici, in special modo, parte di un’Inter tornata a giocare la Champions League nel modo più incredibile possibile. Marchio di fabbrica.
Uomini forti, destini forti. E caratteri forti. Come quello di Keita Balde, finito per saltare 12 partite nel girone di ritorno tra infortuni e panchine, destinate probabilmente a pesare sulla chance di riscatto del giocatore dal Monaco: 144’ senza mai incidere, faticando, prima dei 45’ decisivi di oggi. Entrare spezzando la resistenza dell’Empoli, con un gol decisivo come all’andata, per regalare un pezzo di obiettivo stagionale ai suoi e a Spalletti: l’uomo che per lui stravedeva dai lampi di talento mostrati in maglia Lazio, ritrovandolo come ultimo, utile regalo di mercato della sessione estiva nerazzurra.
Uomini forti, destini forti. E promesse forti, come quella di Radja Nainggolan: dopo un girone d’andata da comparsa, con un professionismo più volte minato da episodi extra campo puniti dalla società, la voglia di ripagare l’investimento nerazzurro pubblicamente espressa. Idea messa in pratica e giuramento mantenuto in un girone di ritorno in crescendo, con 4 firme determinanti inclusa quella odierna: tap-in che oscura, in parte, ogni fischio o errore dei mesi precedenti, rigore decisivo fallito con la Lazio incluso.
Uomini forti, destini forti. Come i cuori e gli attributi di Handanovic e D’Ambrosio, tra capitani rivestiti di onori importanti in corsa ed elementi criticati, al di là di ogni grande impegno e buon rendimento, finiti per salvare gol quasi fatti. Il miglior portiere della Serie A prima, fenomenale su Caputo, Farías e Uçan: il terzino ex Toro, su una palla da spingere in porta per gli attaccanti avversari, finito per correre il pieno rischio di autogol, salvandosi però con l’aiuto della traversa. Sliding doors di quasi 98’ di gioco al cardiopalma.
Nell’insieme di forza e presenza, invece, l’unica macchia della serata nerazzurra arriva dall’uomo più atteso, Mauro Icardi: ricerca di gol decisivi nell’ultimo atto di una stagione stravolta, per scacciare la paura di un obiettivo Champions a rischio; bordate di fischi da un San Siro ormai quasi totalmente contro, dopo una prova incolore in cui pesa il rigore fallito, al momento della sostituzione con Lautaro Martínez. Immagini da uomini deboli, quasi spinto alla porta d’uscita da chi lo amava follemente da Capitano, per destini deboli? Il futuro, tra cambi in panchina ormai preannunciati e decisioni societarie sul mercato, svelerà tutto. Oggi, alla fine di tutto, in casa Inter c’è solo spazio per il concetto di festa e forza: tornando ancora, un anno dopo e come chiesto da, a riveder (follemente) le stelle.