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Data: 12/05/2018 -

Un destino di nome Dionisi. Nel pomeriggio di Chiavari, caduta e risalita di un eroe ciociaro. Tra sei giorni, il Frosinone può tornare in A

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C’è un confine sottile fra il baratro e il trionfo. Giornate speciali in cui il destino chiama. Come diceva Boskov, in quei momenti “puoi essere cane o essere albero”. Paradiso o inferno. Federico Dionisi ha passato la vita come un trapezista. Sempre sul filo fra gioie e dolori. Anche questa stagione è stata così: la morte della madre, lo smarrimento in campo e fuori, l’astinenza dal gol e la rinascita nell’ultimo periodo, senza Danièl Ciofani, gemello di mille battaglie. Nel giorno più importante della storia recente del Frosinone, il fato gli ha rimesso davanti lo stesso copione.

Palcoscenico di Chiavari, avversario l’Entella, sceneggiatura in bilico fra dramma e commedia alla Frank Capra. Protagonista unico, il 18 con la maglia gialla. Poco dopo la mezz’ora, ecco la prima scena madre: rigore per i ciociari dopo un fallo proprio su di lui. Il rigorista giallazzurro sarebbe Daniél Ciofani, che oggi può solo guardare dalla tribuna del Comunale. Tocca al suo fratello di campo. Uno abituato a prendersi sempre la responsabilità. Undici metri per avvicinarsi ancora di più a quella serie A che tre anni fa andò a prendersi con una doppietta contro il Crotone. Davanti a lui ci sono il portiere Paroni e 700 ciociari che pendono dai suoi piedi. Nasca fischia, il 18 parte. Tiro centrale, respinto. Una porta sbattuta in faccia e non gonfiata. Forse in quel momento gli ripassa davanti il suo oscuro inizio di stagione. Autumn in Ciociaria, film triste, senza lieto fine.




Su Chiavari splende un sole che profuma di estate, una pellicola del genere sembra troppo fuori dal tempo.

Longo lo sprona a reagire, dagli spalti Zappino, Soddimo e Maiello lo chiamano alla resistenza. Testa bassa e pedalare. Si è sempre dovuto conquistare tutto sul campo, partendo dai campi delle periferie laziali. Sempre in discussione, spesso costretto a un passo indietro. Conquistò la A col Livorno, si arrampicò in cima alla gradinata per festeggiare coi tifosi e pochi giorni dopo si ritrovò in Portogallo all’Olhanense. Ripartire, oggi come ieri. Un rigore sbagliato sulle spalle e un’ora ancora davanti.




Un tackle a fianco della panchina dell’Entella è il segnale che non è cambiato niente. Resta solo da aspettare che il destino faccia il suo giro. Ci mette meno del previsto. Appena dieci minuti, un attimo prima dell’intervallo. Brighenti rovescia un pallone verso l’area, Citro sale e si porta via i centrali. Dionisi ci si butta. È il secondo appuntamento con la gloria. Ancora una volta, ha davanti la sua gente e un antagonista con i guanti. Lo guarda e lo fredda con un sinistro che profuma di promozione. È il suo decimo gol stagionale, il numero 50 con quella maglia gialla che lancia a terra senza pensare all’altro giallo. Le emozioni non si trattengono.


Quando torna verso il centrocampo, lancia un bacio verso la tribuna. Ciofani sorride. Quello è per lui, la dedica all’intervallo invece è per chi lo guarda dall’alto: “È per mia madre. Non è stato un anno facile. Volevo rifarmi dopo il rigore, sono riuscito a scusarmi con i compagni”.

Nel secondo tempo, combatte come il leone che ha cucito sul petto. Si butta su ogni pallone, si sbatte, prende una botta che gli toglie il fiato. Esce in barella, poi rientra. Chiede il cambio, anzi no. Resta ancora lì nel mezzo, con la mano a tenersi il petto. Respiro faticoso, ma la A è a un soffio. Fatica a stare in piedi e allora scivola per recuperare un altro pallone. Posseduto, al punto che Longo gli chiede di stare calmo. Ha paura che trascenda, che venerdì salti l’appuntamento con la storia. Forse tempo fa, in una gara così spigolosa, il vecchio Dionisi avrebbe perso la testa. In questa invece la usa e suona la carica. Poi si arrende stremato. Esce a un quarto d’ora dalla fine. Da quel momento il Frosinone soffre un po’ di più, ma non crolla.

Finisce 1-0 dopo sei minuti di recupero. Sei, come i giorni che mancano per tornare in A. L’ultima volta fu al Matusa, un 16 maggio del 2015. Questa volta sarà il 18. Lui ce l’ha già scritto sulle spalle. Venerdì vuole scriverlo anche in cielo. Mamma Nadia lo guarderà.




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