Un pallone d’oro, un parastinchi, una scarpetta da calcio e una racchetta da ping-pong sono i premi di un torneo di calcio a 7 che si è svolto ieri al centro sportivo Frog di via Noce a Milano. L’evento, con il nome di “Un calcio al razzismo” è stato organizzato da Naga-Har (associazione di volontariato che promuove e tutela i diritti di tutti i cittadini stranieri) e patrocinato dall’associazione Candido Cannavò. Si sono iscritti 16 schieramenti e nonostante la pioggia battente si sono presentati tutti, puntuali alle 8 del mattino. Sul tabellone all’ingresso del campo i nomi più curiosi: da Fc Entusiasmo a Multietnica Naga, dai Lions of Milan (vincitori del torneo), a Namastè. All’iniziativa hanno risposto in molti: il pubblico, i ragazzi e gli organizzatori che non si sono fermati un secondo. I giocatori, insieme ai volontari, erano rifugiati, perseguitati, migranti e vittime di torture. Non avevano divise ufficiali: le maglie, le scarpette e i pantaloncini variavano dal rosso a fantasie floreali, a loro discrezione; alcune formazioni indossavano delle pettorine sopra felpe di Milan e Inter o magliette colorate. Non era importante sembrare una squadra, ma esserlo. E ci sono riusciti così bene tanto da ricordare quelle di Serie A nelle foto di rito del prepartita. I calciatori che ieri si sono schierati hanno storie diverse, vengono dalla Nigeria, dal Gambia, dall’Angola e dal Mali ma per ognuno di loro il calcio rappresenta una via di salvezza, di sfogo. In qualche modo ha salvato loro la vita. Non era importante vincere il primo premio, anche se i Lions il pallone d’oro (si fa per dire, oro) se lo portavano in giro trionfanti, ma lo era lanciare un messaggio di uguaglianza e coesione. In campo non ci dev’essere differenza, così come sugli spalti e nella vita di ogni giorno. L’aggregazione che si crea intorno a questo sport non discrimina, non può e non deve farlo in alcun caso. Abbiamo provato a entrare in contatto con alcuni di loro ma non avevano molta voglia di raccontare le loro storie. Erano invece entusiasti di poter scherzare sulle squadre che tifano in Italia o in Liga, di declinare le qualità dei giocatori ai quali sognano di assomigliare e di prendere in giro i compagni per un rigore sbagliato. Ieri quei ragazzi hanno semplicemente giocato a calcio dimenticandosi dei trascorsi che li hanno fatti arrivare fino a qui, lasciando in panchina le ferite che forse la notte ancora non li abbandonano. Insomma ieri a Milano a dire “NO to racism”, ci hanno pensato loro, col sostegno di volontari e in memoria di Italo Siena, che quel pallone d’oro vinto dai Lions l'aveva pensato per i più deboli, per chi non ha voce e aveva iniziato a forgiarlo nel 1987, con un progetto che il Naga ha raccolto come la più preziosa eredità.
Alice Nidasio