Canalizzare le proprie passioni in prassi. E’, forse, in questo step la quintessenza della nostra vita (perlomeno lavorativa). Fare quello che ci piace mai potrà equivalere al semplice ‘lo faccio perché lo devo fare’. Chi agisce, in qualsiasi contesto, con passione ed entusiasmo avrà sempre una marcia in più nel motore di quella macchina tanto bella quanto variegata rappresentata dalla nostra esistenza. E’ la passione che trasforma in lavoro in arte. Perché se ci piace davvero far una cosa, quando la coscienza bussa alla nostra porta, l’analisi introspettiva sarà sempre – quasi – piacevole. Il margine di errore si riduce. E ogni giornata si irradia di una splendida serenità.
Passione quale modus operandi. Proprio così. Suonerebbe perfino strano nell’epoca della commercializzazione (anche) delle passioni. Tutto ha un prezzo, ormai. La nostra passione, no. E’ la cosa più intima che abbiamo. Teniamocela ben stretta. Coltiviamola. Giorno dopo giorno. Come Luca Di Masi, presidente dell’Alessandria (quinta in classifica nel girone A di Serie C dopo una straordinaria risalita). “L’Alessandria per me è una passione, la più bella e recondita che ho. Devo ammettere di esserne anche molto geloso…”.
Sincero, di pancia. Elegante nel proporsi, razionale nell’esprimersi. Tono di voce lineare, scandito ogni tanto da una affabile risata, la quale trasuda – davvero – autenticità nelle sue risposte. E, come in una bella lettera d’amore, si procede tutto d’un fiato. Senza interruzioni, ci mancherebbe. Prego, presidente… “Nella Torino divisa tra bianconeri e granata, c’è un bambino che va controcorrente ed è tifoso dei Grigi. Quel bambino sarei io (ride). Capite bene che il mio amore per l’Alessandria nasce ben prima di quel 6 febbraio di cinque anni fa, il fatidico giorno della mia presidenza. Malgrado la mia famiglia sia torinese ed estremamente tifosa del Toro, io ho avuto sempre questa maglia, indosso e nel cuore. Seguivo l’Alessandria, da semplice tifoso, nelle trasferte più inimmaginabili, oserei dire in posti davvero dimenticati da Dio. In casa, poi, davvero non mi perdevo una partita. E’ stata un’emozione personale, un’autopoiesi di passione e di trasporto emotivo, che quei tamburi che risuonavano e quella splendida maglia Grigia, ogni domenica riuscivano a infondere nel mio cuore. Cinque anni fa, dunque, ho deciso di trasformare in prassi questa mia grande passione anche perché, obiettivamente, in Serie C dal punto di vista economico c’è davvero ben poco da tirar fuori. Ma la passione è passione. Ti permea, ti innamora, ti fagocita. Ed è giusto non guardare al denaro. Le cose le facciamo perché ci piacciono, non tutto ha o può avere un costo. Sinceramente vi dico che, ancora oggi, ogni domenica mi emoziono quando davanti ai miei occhi – spiega con voce affettuosa Di Masi ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – vedo ‘sfilare’ undici maglie di colore Grigio. Perché il Grigio non è solo il colore della maglia. Il Grigio è il colore di una terra, la nostra terra. Esprime un legame simbiotico incredibile. Esprime chi davvero siamo noi: persone un po’ chiuse, introverse, che tengono a interinare le proprie emozioni. Ma esse, in ogni caso, sono e saranno sempre sincere…”.
La sincerità è una virtù più semplice di quanto – erroneamente – si possa pensare: è quando una persona esternando ciò che pensa, riesce a trascinarti dentro a quel contesto emozionale, a fartelo immaginare, a fartelo vivere. Una virtù ben impiantata nella persona del presidente Di Masi. E la bellezza della sua autenticità non è solo e soltanto nelle sue parole innamorate, ma anche (e soprattutto) in un dato inconfutabile, tralatizio, perpetuo potremmo aggiungere. L’aver fatto (re)innamorare una città al calcio, l’aver riportato Alessandria a respirare l’aulico odor di storia della maglia Grigia, l’aver riportato quella stessa sulle spalle dei bimbi che giocano nel parchetto sotto casa, i quali hanno scucito il vessillo bianconero, granata o rossonero per far posto a quello Grigio. Il merito (grande) di Luca Di Masi è proprio qui: aver (ri)dato un’identità bella e concreta a questa realtà. Con un solo, unico, imprescindibile gradiente: la passione vera.
“Cinque anni fa ho preferito accollarmi qualche debito in più pur di salvare la categoria ed evitare il fallimento, lo scorso maggio abbiamo iniziato i lavori di ristrutturazione del Moccagatta, terminati dopo quattro mesi e mezzo. Lo dovevo ai tifosi che mi sono sempre vicini, lo dovevo a me stesso che amo davvero troppo i Grigi. Ci sto provando in tutti i modi a raggiungere quella benedetta categoria di sopra. Quest’anno, obiettivamente, siam partiti molto male poi ho deciso di cambiare e sia Marcolini nel ruolo di allenatore che Cerri nel ruolo di direttore sportivo stanno svolgendo davvero un ottimo lavoro, ne sono felice. Dopo l’inizio difficilissimo (zona retrocessione), abbiamo cominciato a scalare una montagna: ardua, dura, impervia, insidiosa. Ora siamo a metà (piena zona playoff) e senza alcun dubbio (ri)proveremo ad arrivare lassù in cima, in un modo o nell’altro”.
Quella stessa, maledetta, sulla quale eravate arrivati (quasi) a sedervi appena un anno fa. Poi il doppio incredibile de profundis: prima il sorpasso in classifica della Cremonese, poi la sconfitta in finale playoff contro il Parma. Ma nessuna sconfitta può, anche soltanto pensare di tangere l’intimità delle nostre passioni. Esse costituiscono un palliativo granitico, un fortino inespugnabile, dinanzi al quale prima o poi qualunque ostacolo è costretto a sgretolarsi. E, questo, lo sa bene il presidente Di Masi… “E’ stata dura, senz’altro. Sembrava avessimo vinto il campionato e invece l’incredibile rimonta della Cremonese. Poi il cammino, altrettanto incredibile, ai playoff, arriviamo in fondo e perdiamo la finale. Devo dire, però, che le colpe sono state anche un po’ le mie. L’ultima, la più banale quella di aver dato troppa attenzione a Livorno-Cremonese piuttosto che alla nostra partita (penultima di campionato) contro la Lupa Roma. Dopo 9’ il nostro vantaggio, pensavo davvero fosse fatta. Tra primo e secondo tempo non entrai nemmeno dentro lo spogliatoio. Il pareggio finale e l'epilogo totale. Col senno di poi, avrei potuto fare di più”.
Ma, quel ‘di più’, in fondo, il presidente Di Masi lo ha già fatto. Coppa Italia 2015-2016. Altovicentino, Pro Vercelli, Juve Stabia, Palermo, Genoa, Spezia…E la semifinale con il Milan! 22.000 alessandrini a Torino, 15.000 alessandrini a San Siro. Ah, se il naufragar è dolce in questo mar… “Un cammino pazzesco, incredibile. Ho i brividi tuttora quando ne parlo. Il tre a due al Barbera, il gol contro il Genoa nei tempi supplementari, la rimonta contro lo Spezia e poi una carovana di pullman a Torino per la semifinale di andata contro il Milan…erano talmente tanti che avevano bloccato l’autostrada! Che ricordi bellissimi, abbiamo sognato tutti insieme, stretti sotto un’unica maglia. Questa unica maglia e che tale sarà sempre per me. Sono momenti che restano lì, nella storia e ne realizzeremo bene il contenuto soltanto con il passar del tempo. La mia Alessandria in semifinale con Inter, Milan e Juventus. I bambini che andavano a scuola con la maglia Grigia, che di mercoledì pomeriggio partivano in pullman per seguirci. E come fai a dimenticar cose così belle? Ricordo ancora quella corsa sotto il settore ospiti al Ferraris di Genova. Non aprirono il cancello a vetro quindi dovetti fare tutto il giro dello stadio, entrare negli spogliatoi e da lì accedere al campo. Tutto a 300 all’ora, con la voce rotta dall’emozione. Riuscii ad arrivare in tempo per esser lanciato in aria dai miei giocatori (ride)…”.
Già, momenti che restano così. Impressi nella mente, sulle note del grande Eros Ramazzotti. Momenti di passione autentica che il presidente Di Masi, fra qualche anno, racconterà ai suoi due bambini Alice e Tommaso, di sette e cinque anni. Ma già grandi tifosi dei Grigi (e giustappunto non sarebbe potuto esser altrimenti)… “Vengono spessissimo allo stadio, tifano moltissimo. Probabilmente perché ormai hanno capito che solo se vinciamo si può entrare in campo e fare due tiri con il pallone (ride). A inizio anno, infatti, erano disperati, ora, sono molto, molto felici”.
Congediamo il presidente Di Masi con una bella risata. Una storia di amore, di passione, di autenticità. In un mondo nel quale, troppo spesso, cerchiamo l’originalità spasmodica quale mezzo di realizzazione personale, probabilmente, per esser felici basterebbe molto, molto di meno. Basterebbe valorizzare le proprie passioni e il proprio (autentico) modo di essere. Ognun per sé, ognun per quel che può. E allora sì – direbbe l’indimenticato Lucio – che sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno…